Aree montane, luoghi da valorizzare e sostenere, prima che si spopolino
A partire dal primo processo di industrializzazione, si è verificata una sempre più accentuata emigrazione delle popolazioni dalle aree montane e rurali verso i centri urbani. In questa sede ci occuperemo delle aree montane, di cui si parla sempre meno. Motivo? Nell’immaginario collettivo si ritiene che lo spopolamento delle aree montane sia un processo naturale e ineluttabile, frutto della modernità, dato che le aree urbanizzate e metropolitane sembrano dare maggiori opportunità economiche e sociali.
Ma questo assunto può essere facilmente sconfessato. Non è detto infatti che i territori montani siano così svantaggiosi e sconvenienti. Anzi. Esse offrono importanti attività economiche quali agricoltura, allevamento e turismo. Attività che oggi appaiono forse démodé, ma che in realtà sembra stiano tornando in auge data la profonda crisi industriale che stiamo vivendo. Non a caso sono sempre di più i giovani che stanno riscoprendo le attività professionali dei loro avi.
E pensare che i territori montani costituiscono quasi i tre quinti della superficie nazionale, ospitando oggi però soltanto un quinto della popolazione italiana. Una porzione ridotta costituita perlopiù da anziani. Il che pone seri problemi di carattere sociale, che riguardano però anche le nuove generazioni, costrette a convivere con disservizi su più fronti: dai trasporti alle comunicazioni, dai servizi sanitari a quelli scolastici.
Di contro, a risentirne sono anche le città, dove si vive sempre peggio a causa dell’eccessiva concentrazione di abitanti, con seri problemi in termini di servizi e inquinamento. Pertanto, ci troviamo di fronte a un estremo sbilanciamento che non giova nessuno.
Per risollevare le sorti delle comunità montane non servono solo i sussidi, ma il recupero della funzione produttiva dell’agricoltura di montagna, anche attraverso un’adeguata valorizzazione dei loro prodotti.
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Del resto produrre per chi vive in montagna è oggi svantaggioso. Prendiamo come esempio il latte: gli allevamenti bovini in montagna producono meno latte rispetto a quelli intensivi di pianura, ma di qualità indiscutibilmente migliore, grazie ai pascoli, all’alimentazione e alle condizioni ambientali generali. Eppure il prezzo del latte imposto dai grandi gruppi è pressappoco lo stesso, indipendentemente dalla qualità e dalla provenienza. Di qui la necessità di distinguere le due tipologie di prodotto, appannaggio di chi fa la spesa.
Anche chi ci governa dovrebbe modificare il paradigma con cui vengono affrontati i problemi delle aree montane. Le quali attirano l’attenzione solo quando si verificano disastri ambientali – frane, alluvioni, massicce nevicate – e urgono interventi straordinari per ripristinare le infrastrutture. E spesso ciò avviene con ritardo. Del resto, si preferisce dare la priorità alle città, dove vivono molte più persone.
Per tanto, rilanciare le aree montane avrebbe ottimi benefici in termini economici, sociali, ambientali. Anche per gli stessi centri urbani, che apparirebbero meno congestionate e dunque con una qualità della vita migliore. Ciò avrebbe anche benefici sui cambiamenti climatici, di cui si parla ormai spesso.
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