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Nell’Adriatico i capodogli spiaggiati per le ricerche di petrolio?

Il 12 settembre a Vasto, sulla spiaggia di Punta Penne, sono stati trovati sette  capodogli spiaggiati presso la Riserva naturale di Punta Aderci. Solo quattro esemplari, grazie all’intervento degli esperti, sono  riusciti a riprendere la via del mare, non tre femmine, tra cui una in stato di gravidanza, che in quel litorale hanno esalato il loro ultimo respiro, tra lo sconforto generale dei tanti presenti.

Nell’Adriatico i capodogli spiaggiati per le ricerche di petrolio?

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Essendo ancora in corso le indagini è ancora presto per chiarire le cause della loro morte, ma i primi indizi son bastati a scatenare la bufera. Nel sangue dei tre cetacei è stata rilevata la presenza di gas, che molti esperti ed ambientalisti hanno messo subito in relazione coi metodi adottati per le ricerche petrolifere nel Mediterraneo.

Secondo Legambiente Abruzzo, tali dati avvalorano i sospetti sulla possibile responsabilità dell’air-gun, una tecnica di ispezione dei fondali marini, che si basa su continui e rumorosi spari di aria compressa, all’origine delle onde riflesse da cui vengono poi tratti i dati sulla composizione del sottosuolo. Emissioni sonore tutt’altro che innocue per gli organismi marini, poiché possono provocare perdita dell’udito, lesioni o disorientamenti. Questo metodo potrebbe dunque aver provocato un trauma improvviso nei cetacei, che sarebbero riemersi troppo rapidamente, per poi finire intrappolati sui bassi fondali della costa abruzzese.

Una fuga fatale, perché proprio questa veloce e scorretta riemersione avrebbe causato un’embolia, decretando la morte di tre dei sette capodogli. Questa è la tesi non solo di Legambiente Abruzzo ma anche di Vincenzo Oliveri, il presidente del Centro studi cetacei che ha spiegato la somiglianza dell’accaduto con quanto succede ai sub in seguito a una mancata decompressione, e di Giuseppe Notarbartolo di Sciara, uno dei massimi ecologi marini italiani e presidente dell’Istituto di ricerca Tethys, che pur predicando prudenza in attesa dei risultati definitivi, ha messo in relazione il dettaglio del gas con lo spavento provocato da un’emissione sonora di origine antropica sottomarina.

A Vasto si è verificato il secondo spiaggiamento più grave del Mediterraneo, dopo quello avvenuto nel dicembre 2009 sul litorale garganico, in Puglia, che provocò la morte di ben sette cetacei.

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Mentre anche il recente decreto “Sblocca Italia” del governo prevede investimenti per valorizzare i giacimenti di idrocarburi presenti nel territorio nazionale e semplifica le procedure per il rilascio dei titoli minerari, Legambiente mette in guardia dal grave rischio della moltiplicazione delle trivelle in mare, specificando che nell’Adriatico centro-meridionale vi sono oltre 12.290 Kminteressati da permessi di ricerca, istanze di coltivazione o per nuove attività di esplorazione di petrolio, che si aggiungono alle otto piattaforme già attive che nel solo 2013 hanno permesso l’estrazione di ben 422.758 tonnellate di greggio. Col nuovo decreto potrebbero essere sbloccate 44 istanze per permessi di ricerca e nove istanze di coltivazione depositate dalle compagnie, che andrebbero a rimpolpare le già consistenti attività delle 105 piattaforme e dei 366 pozzi attivi nell’offshore italiano.

Di fronte alla gravità dello spiaggiamento, il presidente dell’Istituto Tethys è tornato a reclamare la necessità di una maggiore trasparenza e collaborazione, tra chi utilizza il mare per scopi militari o per ricerca di idrocarburi e gli esperti di biodiversità.

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Aspettiamo ora i risultati ufficiali delle indagini sulle cause di morte per avere un quadro più chiaro. Le operazioni di recupero delle carcasse spettano al Cetacean Stranding Emergenzy Response Team dell’Università di Padova, ma al lavoro ci saranno anche gli esperti della Facoltà delle Scienze marine dell’Universidad de Las Palmas delle Canarie.

Al momento nessuna ipotesi sulle cause di morte viene scartata, ma resta il fatto che ancora una volta il nostro mare diventa inospitale per le più antiche creature del Mediterraneo a causa dell’Uomo.

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