Ambiente

Chimica verde? Luci e ombre del nuovo polo sardo a base di cardo e mais

Chimica pulita, non inquinante e verde? Sogno o miraggio? In Sardegna se ne parla e non in termini teorici. Sul piatto ben 1 miliardo di euro di investimenti per bonificare e trasformare il “vecchio” polo chimico di Porto Torres (nel Nord dell’Isola) in area di produzione leader a livello internazionale di prodotti biodegradabili di origine vegetale.

Chimica verde? Luci e ombre del nuovo polo sardo a base di cardo e mais

Un progetto complesso che prevede l’utilizzo di materie prime locali: il cardo, attraverso la sua coltivazione in aree marginali. All’apparenza tutto bene ma gli ambientalisti sono già sul piede di guerra perché ritengono che si ucciderebbe l’agricoltura dell’isola per via dell’eccessiva estensione delle terre coltivate a mais e cardo. Attenzione all’horror rurale.

Riepiloghiamo il progetto (su questo link è possibile consultare una gran mole di dati tecnici che spiegano il sistema con anche le caratteristiche delle materie prime e dei processi produttivi) che vede insieme due colossi chimici: Eni (attraverso la Polimeri Europa) e la Novamont (nata dalle ceneri della Montedison). Quest’ultima, come scrive molto bene Cesare Peruzzi in un lungo articolo del Sole 24 Ore del 2 novembre, è leader mondiale nella produzione di bio – plastiche. Insieme le due aziende hanno dato vita a Matrica: lo strumento aziendale per dare forma al sogno della chimica verde. Da investire ci sono 500 milioni solo per la bonifica dell’area che ha subito diversi decenni di produzione intensiva di prodotti chimici ad alto impatto ambientale. La dannazione della chimica di Stato che con le partecipazioni statali ha dato lavoro ma pure inquinamento al territorio. La Novamont e l’Eni quindi costruiranno, oltre la centrale, diversi impianti (dovrebbero essere sette) per la produzione di bio plastiche e bio lubrificanti.

Si parla anche di Mater–Bi (per una breve guida VEDI ARTICOLO), una nuova famiglia di “bioplastiche che utilizza componenti vegetali, come l’amido di mais, e polimeri biodegradabili ottenuti sia da materie prime di origine rinnovabile che da materie prime di origine fossile” come si legge anche sul sito della Novamont. Insomma questa la frontiera della chimica verde che parte dalla valorizzazione dell’agricoltura locale (con la coltivazione di cardo e mais) per la nuova industrializzazione “verde” e a “tuttogreen”.

Ma in Sardegna non mancano i contrari al nuovo polo. Il mega progetto viene contestato innanzitutto perché si prevede anche la costruzione di una centrale a biomasse che secondo i critici è superflua in una regione ricca di centrali. Poi la contestazione “agricola” per l’elevata estensione dei campi dedicati al nuovo polo. Numeri impressionanti per Giuliano Murgia, ex consigliere regionale, in un intervento sulla Nuova Sardegna, provocatoriamente propone un cambio di nome per l’isola: da Sardegna a Cardegna. E poi “fantagricoltura” e “horror rurale”.

Critiche simili e già sentite in altre latitudini: in Brasile, per la riconversione agricola in funzione della produzione dei bio carburanti. Le critiche più dettagliate sono quelle del Gruppo di Intervento Giuridico, che, oltre che contestare il sovradimensionamento della centrale a biomasse, mette in evidenza l’estensione delle colture: “8-10.000 ettari di mais, 230.000 ettari circa di cardo; ciò equivale a più di tutta la superficie attualmente impegnata in Sardegna dalle colture in atto. Il dubbio che possano essere impiegati in maniera estensiva OGM, fertilizzanti chimici, pesticidi ed altri composti chimici per l’agricoltura di cui si conosce il potenziale nocumento per la salute, genera preoccupazione dal punto di vista sanitario”.

Insomma speranze, riconosciute anche da alcuni ambientalisti, ma pure preoccupazioni per la chimica verde in salsa sarda.

Voci correlate:
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