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Coltivazioni di caffé poco sostenibili e sempre più intensive

Coltivazioni di caffé poco sostenibili e sempre più intensive, questa è la realtà che si cela dietro la tazzina del nostro ‘espresso’ del mattino o del dopo pasto preferito.

Coltivazioni di caffé poco sostenibili e sempre più intensive

Non più l’ombra dei campi di montagna, ma il pieno sole delle ampie distese di terreni. Ragioni strettamente economiche, quali l’andamento dei prezzi e il costo del lavoro, hanno reso le coltivazioni di caffé sempre più intensive e meno sostenibili, con grave pregiudizio per la tutela ambientale e la biodiversità.

I pericoli sono evidenti, poiché la coltivazione intensiva adottata dai grandi produttori l’obiettivo è quello di massimizzare i rendimenti attraverso la monocoltura e l’abbondante ricorso ai prodotti chimici di sintesi, che comportano il deterioramento dei terreni e dell’ambiente circostante, minacciando la biodiversità.

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Ben diverso è invece il sistema biologico, che si schiera a favore della sostenibilità produttiva e rifiuta apertamente qualsiasi tendenza allo sfruttamento irrazionale della terra ed all’uso di prodotti sintetici o agrochimici, così come di OGM, ribadendo il primato della qualità sulla quantità

Secondo un recente studio, realizzato dai ricercatori texani dell’Austin’s College of Natural Science e pubblicato su BioScience, dal 1996 ad oggi, a fronte di una crescente produzione globale di arabica, la percentuale di terreno coltivato in zone ombrose con piante di questa specie è calato del 20%, così che la produzione sostenibile all’ombra è arretrata dal 43 al 24% del totale.

Paradossalmente, tutto ciò avviene mentre perfino grandi catene come Starbucks hanno accresciuto la produzione di caffè biologici e della specie arabica coltivati all’ombra, mostrando finalmente un  minimo di sensibilità per la tutela del territorio e dei lavoratori. Negli stessi Stati Uniti, d’altronde, i prodotti biologici equi e sostenibili non se la passano così male, se è vero che il fatturato delle specialità a base di caffé arabica e di altre varietà pregiate coltivate in montagna è cresciuto del 75% nel primo decennio degli anni 2000.

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Ci aiutano a capire meglio la situazione i ricercatori del Texas, secondo i quali il trend sempre più intensivo per la coltivazione di caffé va ricollegato allo spostamento delle produzioni dall’Africa all’Asia, dovuto a ragioni economiche. Tra queste il calo dei prezzi all’ingrosso dei chicchi, che ha spinto i grandi produttori a cercare nuove aree di coltivazione capaci di consentire rese massime con investimenti minimi, come per esempio le ampie fasce di territorio in Vietnam e Indonesia, dove si può procedere senza troppe lungaggini alle deforestazioni e usufruire della manodopera locale a basso costo per avviare quelle coltivazioni intensive che garantiscono alte produzioni.

Il problema è che solo il caffé coltivato all’ombra e sulle montagne, ai margini delle foreste, può tutelare realmente la biodiversità, poiché riesce ad attrarre gli insetti impollinatori, permette il passaggio e il riposo degli uccelli migratori e costituisce un rifugio per moltissime specie di piccoli animali, non incidendo inoltre sul cambiamento climatico.

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Al contrario, come ricordano i ricercatori dell’Austin’s College, le coltivazioni in pieno sole e in pianura significano perdita di biodiversità, maggiore inquinamento, impoverimento e rapido esaurimento dei terreni, che perdono la loro fertilità entro una ventina d’anni dalla messa a coltura, con danni rilevanti per le popolazioni produttrici locali. Il maggior profitto ottenibile subito con l’avvio della produzione rischia quindi di essere una chimera, visti i progressivi minori introiti che si materializzano in breve tempo.

Dal Texas arrivano anche risposte per modificare queste tendenze che sacrificano la biodiversità e il rispetto ambientale in nome del profitto immediato dei grandi produttori. Occorrerebbero urgentemente  politiche d’incentivazione fiscale per le produzioni eque e sostenibili, mentre tutti gli attori in campo, dalle agenzie governative, alle ONG fino alle associazioni dei consumatori, dovrebbero promuovere un’opera di sensibilizzazionecorretta informazione sulla provenienza del caffè, collaborando tra di loro per rendere più accessibile la certificazione di caffè di montagna cresciuto all’ombra, oggi ancora troppo costosa. Solo così la qualità in tutti i suoi aspetti potrà esser preservata.

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