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Ecco tutti gli impianti più pericolosi della Sicilia

Sicilia, regione incantevole che da decenni è alla mercé di impianti industriali inquinanti; i quali non ne hanno solo deturpato la purezza dell’ ecosistema, ma hanno anche provocato pesanti danni alla salute degli abitanti. Due sono le province maggiormente interessate da questo fenomeno legato all’industrialismo senza scrupoli, peraltro molto diffuso in Italia: Siracusa e soprattutto Gela. Partiamo proprio da quest’ultima.

Ecco tutti gli impianti più pericolosi della Sicilia

A Gela a farla da padrona è l’Eni: oggi a lavorarci sono meno di duemila persone. E in futuro saranno ancora meno. Fino agli anni ’90 dai cancelli del Petrolchimico Clorosoda, sorto il 19 marzo 1971, sono passati migliaia di operai che raffinavano carburante e producevano concimi chimici e materie plastiche. Oltre ad essere fonte di lavoro, il Clorosoda era conosciuto anche come il “reparto killer”: su 75 operai che ci hanno lavorato negli ultimi anni di attività più della metà si sono ammalati di tumore.

Una ventina sono già morti, gli altri lottano contro un sistema immunitario distrutto dai veleni. Per anni, infatti, hanno lavorato respirando mercurio.

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Ma ad essere drammaticamente interessato è tutto il quartiere ove questo Petrolchimico sorge: cinquecentoventi bambini nati a Gela sono venuti alla luce con malformazioni genetiche. Diffusissima l’ipospadia – una malformazione congenita dell’apparato genitale – ma non mancano anche i casi di bambini nati microcefali, soprattutto tra le famiglie di ex operai; dunque vi è stata anche una trasmissione genetica.
Poi ci sono i danni all’ambiente: a Gela sono inquinati pure gli ortaggi coltivati nella zona.
Nel 2006 un centinaio di famiglie di ex operai Clorosoda hanno deciso di mettersi insieme per fare causa all’Eni e costringere i vertici dell’azienda a prendersi le proprie responsabilità.

E veniamo a Siracusa, il cui litorale alla fine degli anni ’50 venne immolato nel nome dello sviluppo. Qui il cavaliere Angelo Moratti venne a costruire la Rasiom, in grado di raffinare 8 milioni di tonnellate di greggio all’anno. In seguito arriveranno la Esso, l’Eni e l’Enel. E la costa tra i comuni di Priolo, Augusta e Melilli verrà ribattezzata “triangolo della morte”. Le industrie petrolifere e quelle chimiche hanno dato lavoro negli anni a circa 10 mila persone. Oggi però, a parte la Erg, stanno tutti trasferendo altrove i cicli produttivi. Dello sviluppo economico qui è rimasto ben poco, a parte le statistiche relative ai decessi.

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A Priolo e Augusta i morti di tumore sono il 10 per cento in più rispetto al resto della Sicilia, e superano il 20 per cento quelli per tumore al polmone. Dal 1990 è scattato anche l’allarme malformazioni genetiche. Nel 2000 a Priolo il 5 per cento dei bambini è nato con malformazioni, cinque volte in più della media nazionale. Diffusissima anche qui l’ipospadia, che ad Augusta colpisce il 132 per mille dei nati. Eppure non è stato ancora trovato un nesso causale, ovvero la dimostrazione che i tumori e le malformazioni genetiche derivino dall’inquinamento delle industrie.

Nel 2006 però la Syndial, società del gruppo Eni, ha deciso di risarcire alcune famiglie di Priolo: 11 milioni di euro per 101 casi di bambini nati con malformazioni genetiche. Ma i soldi sono solo una magra consolazione, rispetto a una vita compromessa fin dalla nascita.

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