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Neve artificiale: non c’é nulla di eco-sostenibile

La prima volta che venne prodotta della neve artificiale correva l’anno 1946 e fu Vincent Schaefer, scienziato della General Electric, che a bordo di un aeroplano ‘seminò’ le nuvole con alcuni cristalli di ghiaccio secco super raffreddato, mimando così il meccanismo di formazione della neve.

Neve artificiale: non c’é nulla di eco-sostenibile

Ma Schaefer non era l’unico a pensare ad una soluzione artificale per sopperire alla mancanza di precipitazioni nevose naturali, infatti le piste di una stazione sciistica del Connecticut nel 1948 erano state cosparse di 500 tonnellate di ghiaccio da un intraprendente gestore, tale W. Schoenknecht. Il che permise di sciare per due settimane!

Solo quattro anni più tardi, tuttavia, venne utilizzato il primo cannone per neve artificiale, messo a punto da Wayne Pierce, Art Hunt e Dave Richey, sulle Catskill Mountains nello stato di New York.

Per i patiti degli sport invernali e i (presunti) amanti della montagna, questa invenzione rappresenta probabilmente una delle trovate più geniali del secolo, ma forse non tutti sanno che l’innevamento programmato (o tecnico) ha un impatto elevatissimo sia in termini economici, che energetici e soprattutto ambientali.

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Già, perché mettere in funzione i cosiddetti ‘cannoni sparaneve’ per imbiancare le piste da sci e sostenere così il business che ruota attorno al ‘circo bianco’  ha costo non indifferente. Basti pensare che per produrre 2 metri cubi di neve artificiale occorrono circa 1.000 litri di acqua che salgono a 20.000 metri cubi per innevare artificialmente una pista di medie dimensioni (1.600 metri di lunghezza).

Uno dispendio di risorse idriche colossale, dunque, a cui si deve aggiungere l’energia elettrica necessaria ad alimentare i cannoni, l’inquinamento atmosferico generato dai camion che devono trasportare la neve ‘tecnica’ da una parte all’altra delle valli, nonché il massiccio utilizzo di additivi inquinanti che hanno pesanti ricadute sulla fauna e la flora alpina.

Se consideriamo, poi, che negli ultimi anni il surriscaldamento globale ha reso sempre più rare le precipitazioni nevose e che, di contro, la richiesta ‘turistica’ legata alla commercializzazione degli sport invernali è aumentata, è facile capire che l’importanza della neve artificiale sia ormai fondamentale per gli operatori del settore e i gestori degli impianti.

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Recentemente anche il WWF è intervenuto sulla questione lanciando un appello alle comunità montane perché venga promosso un modello di sviluppo turistico davvero sostenibile. Cifre alla mano, infatti, gli esponenti dell’associazione ambientalista hanno ricordato che il 70% delle piste da sci in Italia sono ormai coperte da neve artificiale con uno spreco idrico complessivo pari a 95 milioni di metri cubi d’acqua (Fonte: Alpi da vivere, la risorsa turismo’).

Sempre secondo il WWF, il consumo elettrico sfiora i 600 GWh di energia all’anno, vale a dire 136.000 euro per ettaro di pista su un totale di 4.700 km.

A tutto questo si deve aggiungere l’impatto che tali impianti hanno sul paesaggio e l’inquinamento acustico prodotto dagli sparaneve in funzione (mediamente 70 DbA a 50 m). Lo sbancamento delle aree destinate ai bacini artificiali di raccolta dell’acqua necessaria alla produzione della neve chimica, infatti, cosa all’ambiente decine e decine di ettari di foresta o di aree utilizzate normalmente per l’alpeggio, a cui si aggiungono quelli necessari alla creazione delle piste da sci e degli impianti di risalita.

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La costruzione degli impianti per la neve ‘tecnica’, inoltre, comporta il massiccio utilizzo di scavatrici e ruspe per la posa dell’e condutture dell’acqua e dei cavi elettrici che modificano irrimediabilmente la composizione del terreno, della vegetazione e la biodiversità delle zone alpine.

Trasformare l’acqua in neve per accontentare gli sciatori più incalliti, dunque, è un’attività tutt’altro che ecologica. Considerando, poi, che negli ultimi tempi la stagionalità del turismo ‘bianco’ si è notevolmente allungata, ecco che il danno ambientale diventa ancora più evidente: i cannoni in funzione anche nei mesi primaverili, infatti, non fanno che ritardare la naturale attività vegetativa della flora alpina e restituire terreni e pendici sempre più brulli e aridi.

E con una stagione vegetativa già di per se corta come quella ad alta quota, le possibilità rigenerative sono davvero limitate perché l’innevamento chimico accorcia ulteriormente questa importantissima fase vitale e accentua i fenomeni erosivi che si verificano sul suolo.

Troppi rischi in gioco, dunque, e troppe risorse dilapidate per il mero divertimento di chi, in assenza di neve naturale, ad una discesa sugli sci potrebbe preferire una bella passeggiata…

Erika Facciolla

Giornalista pubblicista e web editor free lance. Nata nel 1980, si trasferisce a Bologna dove si laurea in Scienze della Comunicazione. Dal 2005 è pubblicista e cura una serie di collaborazioni con redazioni locali, uffici stampa e agenzie editoriali. Nel 2011 approda alla redazione di tuttogreen.it per occuparsi di bellezza e cosmetica naturale, fonti rinnovabili e medicine dolci.

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Un commento

  1. Salve,
    sono ormai 20 anni che mi reco e mi muovo tra diversi comprensori sciistici europei e vorrei farVi notare giusto due o tre cose:
    1) i “camion” che trasportano neva da una valle all’altra, io non li ho mai visti, questo non significa che non ci siano, ma sicuramente sono veramente pochissimi i casi;
    2) avete provato a pensare che l’acqua che occorre ai “cannoni” magari potrebbe essere frutto della neve sciolta, e di bacini idrici realizzati appositamente, assolutamente non invasivi e anche carini tuttosommato all’interno del contesto?
    3) se parlate poi di scarse precipitazioni nevose, bhè, si capisce al volo che sicuramente siete degli sportivi, ma assolutamente svincolati dalla montagna, in quanto negli ultimi anni c’è stata neve “naturale” da ottobre a maggio (in alcuni casi anche in estate ci sono dei rovesci sopra i 2600 mt)
    4) per il dispendio energetico posso solamente dire che “fortunatamente” iniziano ad alimentare tramite dei pannelli solari e fotovoltaici, oltre a pale eoliche;
    5) scavatrici e ruspe.. simpatica la cosa, provate a pensare se ognuno di noi dovrebbe costruire una casa piuttosto che realizzare un giardino con pala e piccone (sempre che voi sappiate di cosa si tratta).
    Detto ciò vi consiglio di fare un giro, chiacchierare con gente del posto, e magari andare a visitare qualche museo per rendervi conto dei cambiamenti geologici.

    Un saluto

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