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Oltre all’ILVA altri eco-mostri distruggono vite umane e territorio d’Italia

Non solo Ilva. Sono tanti gli eco-mostri disseminati in lungo e in largo per lo Stivale sui quali occorrerebbe accendere i riflettori. Un esempio? L’impianto ENI di Gela che ha ormai seriamente compromesso territorio, ambiente e salute dei cittadini della zona.

Oltre all’ILVA altri eco-mostri distruggono vite umane e territorio d’Italia

Malformazioni sei volte superiori alla media nazionale, livelli di inquinamento ambientale gravissimi e un’inchiesta in corso per chiarire le reali responsabilità di un impianto petrolchimico costruito alla fine degli anni Cinquanta da Enrico Mattei.

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L’inchiesta della Procura di Gela ha inizio nel 2010 con la richiesta di rinvio a giudizio di diversi dirigenti dell’impianto e di 3 funzionari di alcune ditte alle quali erano stati commissionati i lavori per la realizzazione di una condotta sottomarina che doveva servire a trasferire il petrolio ai serbatoi dello stabilimento.

Le accuse sono gravi: false attestazioni ai fini dell’ottenimento delle concessioni, occupazione abusiva del suolo demaniale marittimo, omicidio colposo e lesioni gravi, falso documentale (la conduttura doveva essere completamente interrata ma a lavori eseguiti lo era solo in pochi tratti).

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Il risultato di questa condotta criminosa perpetrata per anni a danno del territorio, dei suoi abitanti e degli operai dello stabilimento petrolchimico è un inquinamento che ha ormai  intaccato qualsiasi cosa: acqua, terra, bestiame, cibo e – inevitabilmente  – persone. Un inquietante numero di malformazioni genetiche neonatali (nel 2002 i bambini nati malformati sono stati 512 nel solo comune di Augusta) e di forme tumorali mortali (a Priolo ed Augusta i morti per tumore sono il 10% in più rispetto al resto della Sicilia) sono solo le conseguenze più evidenti del disastro provocato dall’attività di uno stabilimento che negli anni si è trasformato in una vera e propria ‘macchina della morte’.

L’inchiesta ha messo in luce il nesso tra l’inquinamento e l’attività industriale alla quale è attribuibile una forte contaminazione ambientale a tutti i livelli indotta dalla dispersione di metalli pesanti, solventi organoclorurati, idrocarburi, diossine, mercurio e arsenico.

La vicenda è arrivata anche in Parlamento dove i Ministri dellAmbiente e della Salute sono stati esortati a promuovere un’indagine che possa porre rimedio nel più breve tempo possibile a questa inaccettabile e gravissima situazione.

Ma quante persone dovranno ancora morire prima che si passi all’azione? E soprattutto: quanti ‘casi Ilva’ ci sono davvero in Italia? Possibile che questo paese abbia troppa paura di aprire i suoi vasi di Pandora?

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Erika Facciolla

Giornalista pubblicista e web editor free lance. Nata nel 1980, si trasferisce a Bologna dove si laurea in Scienze della Comunicazione. Dal 2005 è pubblicista e cura una serie di collaborazioni con redazioni locali, uffici stampa e agenzie editoriali. Nel 2011 approda alla redazione di tuttogreen.it per occuparsi di bellezza e cosmetica naturale, fonti rinnovabili e medicine dolci.

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