Forse non tutti sanno che molto del pescato che ogni giorno arriva sulle nostre tavole, proviene da impianti dove vengono fatti crescere pesci e piante in acquacoltura. Si tratta di uno dei sistemi di allevamento animale più diffusa ed importante, ma è poco conosciuta. Scopriamo come funziona, quali sono i suoi vantaggi ed anche gli svantaggi.
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Un po’ come succede per le coltivazioni che utilizzano l’acqua come terreno di coltura, parliamo di idroponica, cioè coltivare le piante nell’acqua e d’idrocoltura, anche i pesci, i molluschi e le alghe possono essere allevati in acqua.
La definizione esatta la indica come l’insieme delle attività umane, distinte dalla pesca, praticate per la produzione controllata di organismi acquatici.
Si potrebbe anche definire coltivazione dell’acqua salata, dolce o salmastra, finalizzata alla raccolta di pesci, crostacei, alghe e molluschi.
È bene ricordare che non tutti i pesci si possono allevare, ma qualcuno deve necessariamente essere pescato. In particolare parliamo di molluschi, perché i polpi o le seppie, semplicemente, in cattività non si riproducono. Quando i ricercatori capiranno perché, si aprirà la strada per allevarli, ma per adesso tutto ciò che non è allevabile è necessariamente pescato.
L’acquacoltura può essere realizzata in mare, nei fiumi, nei laghi, ma anche negli stagni, nelle lagune e nei bacini artificiali, ed è praticata ovunque nel mondo.
Tra i pesci di allevamento più comune troviamo il salmone, la carpa, la tilapia ed il pangasio (in Oriente) e poi le orate, i branzini (o spigole), e naturalmente le trote. Sulle etichette dei prodotti che mangiamo c’è sempre scritto se il pesce è pescato, e dove, o se è allevato.
Il rischio imminente di cambiamenti climatici importanti, dovuti alle azioni umane, che hanno compromesso gli equilibri del Pianeta, mette a rischio la biodiversità sia nel mondo animale che in quello vegetale. Tanto che uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu, è quello di conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.
Considerando la sempre più crescente domanda di pesce a livello globale, e il sovrasfruttamento degli stock ittici, questa pratica di allevamento controllato del pesce è non solo una semplice alternativa alle attività di pesca, ma anche una vera e propria esigenza produttiva, in grado di generare benefici economici e ambientali.
Ed è una attività che l’Uomo ha da sempre provato a praticare: le prime testimonianze di questo metodo risalgono alle più antiche dinastie cinesi ed egizie, che poi le tramandarono alle nascenti popolazioni etrusche e romane.
Si tratta dell’allevamento di organismi acquatici attraverso l’utilizzo di tecniche che implicano forme differenti di intervento umano.
Esistono diversi tipi di pratiche di acquacoltura distinguibili in base all’entità dell’intervento dell’uomo e all’organismo acquatico allevato.
Pero aprire un’acquacoltura serve soprattutto una cosa: tanta acqua calda. I pesci, infatti, sono animali a sangue freddo, e sono in grado di resistere anche a temperature molto basse (poi dipende dalla specie) ma con una caratteristica: il loro metabolismo rallenta quanto l’acqua è più fredda.
Questo significa che se l’acqua è a 15° invece che 30°, mangeranno a metà della velocità, digeriranno a metà della velocità, si muoveranno a metà della velocità e ovviamente cresceranno nel doppio del tempo.
Ci vuole una temperatura adatta, certo, ma nemmeno troppo bassa, altrimenti non crescono. Il riscaldamento dell’acqua è una delle componenti economiche più importanti e pesanti dell’acquacoltura.
Generalmente ci sono delle vasche, dei riproduttori che producono uova (il novellame) che, una volta cresciuto diventa il pesce da vendere.
Possiamo distinguere 4 tipologie di acquacoltura in base alla specie allevata:
In rapporto all’entità dell’intervento umano richiesto possiamo fare una distinzione tra 3 tipologie di acquacoltura:
L’acquacoltura estensiva è un sistema chiuso e autosufficiente. Tra tutti i metodi di allevamento, è quello che, sicuramente, ha un minor impatto negativo sull’ambiente (ad eccezione dei lavori fatti per creare i bacini).
Sistema che prevede un massiccio intervento da parte dell’uomo che, non solo crea il bacino e lo popola con le specie di pesci desiderate, ma gli somministra anche costantemente cibo, acqua fresca e ossigeno. Gli alimenti somministrati possono essere naturali (cereali o altri pesci) o artificiali (mangimi).
L’acquacoltura intensiva viene praticata su terraferma o in mare, attraverso l’installazione di gabbie marine, e in genere riguarda allevamenti specializzati e monocolturali, ovvero dedicati ad una sola specie ittica.
L’acquacoltura intensiva è la forma di acquacoltura prevalente in Italia soprattutto in impianti a terra in bacini artificiali di dimensioni ridotte.
Con questo tipo di acquacoltura, ovviamente, la densità di pesci e il livello di produttività sono molto più alti rispetto all’acquacoltura estensiva, ma, di contro, la qualità dei pesci pescati è di gran lunga inferiore.
A sua volta, l’acquacoltura intensiva si distingue in:
Com’è facile intuire, si tratta di una via di mezzo tra l’acquacoltura estensiva e l’acquacoltura intensiva. Generalmente praticata in vasche a terra, in aree costiere, laghi o lagune, in questo tipo di allevamenti l’uomo interviene per integrare la dieta dei pesci allevati con il solo scopo di renderla più completa e mirata all’accrescimento della specie.
Di recente si è sviluppata una nuova forma di acquacoltura: quella iperintensiva, anche detta RAS (Recirculated Aquaculture System), o sistema a ricircolo.
Si tratta di un sistema molto tecnologico che prevede il continuo ricircolo dell’acqua, di continua aggiunta di ossigeno nei bacini d’allevamento e della somministrazione di mangimi artificiali. In questo caso vanno tenuti sotto controllo svariati parametri come il Ph, la salinità, il livello di ammoniaca, la temperatura, l’ossigeno, il grado di illuminazione etc… Senza dubbio, questo rappresenta il sistema che grava sull’ambiente in maniera più pesante ed impattante. Per quanto riguarda la qualità dei pesci provenienti da questo tipo di allevamento, moltissimo dipende dalle scelte, più o meno etiche, fatte dai gestori.
Esiste anche la maricoltura, o allevamento in mare, che dà un prodotto qualitativamente migliore. In effetti, i pesci sono abbastanza grandi da non scappare dalle reti. Messi in vasche che si trovano in mare, possono assumere, oltre al mangime, tutti i componenti per loro naturali. Questo gli conferisce un sapore migliore ed una maggiore qualità.
L’acquacoltura fa bene al Pianeta. Oltre a rispondere ad una effettiva necessità produttiva, rappresenta anche una validissima chance in termini ambientali. Infatti:
Il novellame è molto difficile da trattare. I pesci appena nati si vedono a malapena ad occhio nudo e somigliano a delle larve. Così piccoli non riescono a mangiare il mangime classico.
Per questo bisogna avere un secondo allevamento, quello dei rotiferi, che sono piccoli animaletti microscopici. La larva di pesce non è in grado di vedere ma solo di percepire che qualcosa intorno a lei si muove. Il suo cibo, insomma, deve muoversi ed essere più piccolo. Ed è per questo che si forniscono questi organismi per poter nutrire i pesci nella prima fase della vita.
Ma ovviamente anche i rotiferi devono pur mangiare qualcosa, per questo nell’acquacoltura è presente un terzo allevamento, che è quello delle alghe, che costituiscono a loro volta il nutrimento dei rotiferi.
Quando il pesce cresce ha bisogno di un altro tipo di mangime vivo: le artemie, piccoli gamberetti microscopici che non si allevano. Si comprano già pronti da chi li pesca. E si usano per nutrire il pesce fin quando è abbastanza grande da poter mangiare il mangime vero e proprio, simile a quello per cani o per gatti.
D’ora in poi il pesce è nutrito da mangime, fino a quando avrà raggiunto la taglia commerciale. Per un’orata è di 450 gr e impiega 18 mesi. Per fare un paragone, un bovino in 18 mesi è di 450 kg. Mille volte tanto. Spiegato così il motivo per cui il pesce è così caro.
Una volta che il pesce ha raggiunto la taglia commerciale, viene pescato dalle vasche di allevamento e poi venduto dopo essere stato stordito con il ghiaccio (non c’è macellazione) ed eventualmente lavorato.
Più del 50% del pesce consumato proviene da impianti di acquacoltura. Tra il 2008 ed il 2013 l’acquacoltura ha avuto una crescita del 60%. Un dato che, sulla base delle stime ufficiali delle Nazioni Unite, è destinato a crescere fino a raggiungere nel 2025 gli 8.1 miliardi di prodotto. Un valore destinati a crescere ulteriormente fino a sfiorare i 9.6 miliardi nel 2050 e i 10.9 miliardi nel 2100.
Nel ciclo di Programmazione Europea 2014-2020, la Commissione ha riconosciuto il valore del comparto investendo più del 20% del budget del Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca- FEAMP proprio nello sviluppo di un’acquacoltura sostenibile sotto il profilo ambientale, efficiente in termini di risorse, innovativa, competitiva e basata sulle conoscenze.
L’acquacoltura sostenibile, rappresenta infine la seconda tra le 6 priorità del Programma Operativo Feamp, elaborato in maniera partecipata con il partenariato e coordinato dal MIPAAF per dare concreta attuazione agli obiettivi finanziati dal fondo.
I pesci che si adattano meglio all’acquacoltura, e che vengono maggiormente allevati con questo sistema sono
Sia d’acqua dolce che di acqua salata, gli ambienti dove vengono tenuti i pesci si differenziano in peschieri, stagni, bacini, vivai o valli da pesca. Nello specifico, possiamo distinguere tra acque:
Il principale vantaggio dell’acquacoltura è la possibilità di ridurre la pesca tradizionale, causa di un forte impatto sull’ecosistema acquatico. La cattura in mare infatti può provocare la morte di piccoli esemplari non ancora maturi, a causa dello schiacciamento degli uni contro gli altri nelle reti, andando così a danneggiare lo sviluppo dei pesci e diminuendone la quantità.
Ma non solo, dall’acquacoltura deriva anche un altro vantaggio che altro non è che un’ovvia conseguenza: il creare lavoro e muovere l’economia, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove rappresenta sicuramente un mezzo di auto sostentamento economico, ma anche alimentare, permettendo infatti a molte popolazioni di alimentarsi con proteine di origine animale che, in alcuni Paesi come l’Africa, risultano carenti.
Come per tutte le cose, ovviamente anche nel caso dell’acquacoltura ci sono anche dei lati negativi.
Vediamo ora le principali differenze tra i due sistemi.
La pesca:
L’acquacoltura:
L’acquacoltura italiana rappresenta una vera e propria avanguardia in Europa, sia per la forte integrazione di filiera in azienda che per la qualità delle produzioni di elevato valore per caratteristiche nutrizionali, organolettiche e sicurezza alimentare.
Attualmente, operano sul territorio italiano, circa 800 impianti di acquacoltura che producono 140 mila tonnellate l’anno di prodotto, contribuendo così a circa il 40% della produzione ittica nazionale e al 30% della domanda di prodotti ittici freschi. Gli addetti che vi lavorano sono circa 7.500.
In Italia vengono allevati circa 30 tipi di pesci, molluschi e crostacei, ma il 97% della produzione nazionale si basa su 5 specie: orata, trota, spigola, mitili e vongole veraci. Costituisce il principale paese produttore di vongole veraci, coprendo i due terzi della produzione acquicola comunitaria per quanto riguarda i mitili.
La maggior parte degli allevamenti di spigole e orate sorge in aree di mare poco esposte alle correnti, in prossimità della costa o all’interno di golfi, come il Golfo di Follonica o quello di Gaeta.
L’acquacoltura estensiva viene invece più che altro praticata nelle lagune costiere, le cosiddette “valli di pesca”. Gli impianti più importanti si trovano quasi tutti al nord, e in particolare in Veneto, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia.
Associazioni e organizzazioni a difesa dell’ambiente, come Slow Food e Greenpeace, si sono più volte schierate contro i metodi di acquacoltura, soprattutto intensivi ed iperintensivi, definendoli pratiche che non rispettano i diritti degli animali e che provocano gravi problemi all’impatto ambientale.
Dal canto loro, invece, gli allevatori di pesce e altre organizzazioni come la Fao, ribattono che l’acquacoltura è una risorsa importante per la popolazione mondiale, sia per i Paesi più poveri che per quelli occidentali che stanno ormai esaurendo gli stock di prodotti ittici “al naturale”.
La Comunità Europea ha cercato di imporre dei limiti stabilendo anche alcuni obiettivi per il futuro sviluppo dell’acquacoltura che deve mirare, sia ad essere più competitiva attraverso un sostegno alla ricerca e allo sviluppo, e sia più rispettosa dell’ambiente.
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