L’agricoltura sociale è una nuova pratica che, attraverso iniziative promosse in ambito agricolo e alimentare da aziende agricole, ma anche cooperative sociali, intende favorire il reinserimento terapeutico di soggetti svantaggiati nella comunità e al contempo produrre beni.
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Si configura come un vero e proprio strumento operativo attraverso il quale i governi regionali e locali – in maniera diretta o attraverso associazioni preposte – possono applicare le politiche del welfare in ambito territoriale.
Solitamente ciò avviene coinvolgendo una pluralità di soggetti giuridici, enti, aziende agricole e cittadini.
Questa forma di agricoltura si basa dunque sulla collaborazione tra il mondo dell’agricoltura e quello del terzo settore. Per questo, si diceva che vengono coinvolti diversi livelli sia in ambito pubblico che privato.
La forma di aggregazione più comune che permette l’applicazione di queste politiche è la cosiddetta “azienda agri-sociale”. Spesso viene definita anche come “fattoria sociale”.
Si tratta di una fattoria tradizionale, o di un allevamento di animali di vario genere, economicamente e finanziariamente sostenibile, e gestita da una o più persone associate.
L’azienda svolge la propria attiva agricola o zootecnica per vendere i propri prodotti sul mercato. Ma lo fa in maniera “integrata” e a vantaggio di soggetti deboli (portatori di handicap, tossicodipendenti, detenuti, anziani, etc.), residenti in aree fragili (montagne o centri isolati).
Il tutto solitamente in collaborazione con istituzioni pubbliche.
Questo tipo di associazionismo sociale può essere definito anche multifunzionale. Infatti realizza allo stesso tempo diversi percorsi terapeutici, riabilitativi e di reintegrazione dei soggetti interessati. Come è facile vedere, lo spettro di finalità perseguite è ampio.
L’attività degli operatori coinvolti in iniziative agricole socialmente utili (si pensi agli assistenti sociali, psicologi, educatori, operatori agricoli e zootecnici, ecc) può essere declinata in diverse modalità.
Sotto il profilo terapeutico e riabilitativo le attività più praticate sono le terapie assistite con gli animali (pet-therapy, ippoterapia, onoterapia) e quelle legate al giardinaggio come l’ortoterapia.
Ma l’agricoltura sociale è un anche uno strumento di riappropriazione dell’individuo del proprio ruolo in società da un punto di vista professionale. Una delle finalità è proprio quella di favorire il reinserimento nel mondo del lavoro attraverso l’acquisizione delle tecniche e le pratiche agricole.
Uno dei principali promotori italiani di bio agricoltura sociale è l’AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica). Questa associazione promuove svariati progetti formativi e riabilitativi di grande valore sociale. Non a caso, AIAB e è impegnata da tempo in un processo di sensibilizzazione e promozione territoriale di nuove imprese agro-sociali biologiche.
Secondo una recente indagine sull’agricoltura sociale biologica condotta da AIAB nel nostro paese, nel triennio 2007-2010 il numero delle fattorie sociali in Italia è cresciuto considerevolmente, passando da 107 a 221.
Non solo. Uno degli aspetti più significativi emerso dallo studio riguarda la crescita dell’incidenza delle aziende agricole sul totale dei soggetti che praticano l’agricoltura sociale. Sebbene la cooperazione sociale resti la forma giuridica più diffusa, il settore agricolo privato e cooperativo ha registrato nel 2010 un +33% del totale degli operatori, rispetto al 25% del 2007.
Il dinamismo di questa realtà è testimoniato dalla massiccia presenza di giovani e donne, con alti livelli culturali, provenienti anche da settori extra-agricoli. Come abbiamo visto, infatti, le pratiche agri-sociali più diffuse sono caratterizzate da un’attività agricola ad alta intensità di lavoro.
Si pratica la vendita diretta o attraverso GAS, prediligendo sempre la filiera corta, c’è una notevole diversificazione del business che si esprime nel mix di attività complementari come ristorazione, agriturismo, didattica insieme alla tutela ambientale.
Vista l’importanza che tale fenomeno sta assumendo e gli enormi benefici sociali ed economici che ne derivano, sarebbe opportuno che le istituzioni cogliessero appieno l’effettivo potenziale dell’agricoltura sociale e lo valorizzassero adeguatamente.
Da un lato si incentiverebbe una politica agricola innovativa (che non potrebbe che giovare ad un comparto in crisi da molto tempo), dall’altro si concretizzerebbero ricadute positive in ambito sociale.
Per fare ciò, è opportuna l’articolazione di nuove politiche di welfare ancora più mirate ed efficaci, attraverso l’adozione di provvedimenti legislativi adeguati in ambito nazionale e regionale.
Oggi l’Unione Europea definisce l’agricoltura sociale come “il nesso fondamentale tra agricoltura sostenibile, sicurezza alimentare, equilibrio territoriale, conservazione del paesaggio e dell’ambiente, nonché garanzia dell’approvvigionamento alimentare”. Ne ribadisce lo status di soggetto privilegiato per le politiche di welfare dei suoi stati membri.
Con la Legge 18 agosto 2015, n. 141, “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”, finalmente questa forma di agricoltura ha il suo riconoscimento giuridico in Italia che si attendeva da tempo.
Gli aspetti innovativi della normativa riguardano l‘introduzione di una definizione di questo innovativo tipo di agricoltura, che investe diversi ambiti:
Inoltre, si mira alla salvaguardia della biodiversità animale, attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche grazie a:
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