La popolazione mondiale è in crescita costante e da decenni si cerca di trovare il modo per dare la giusta quantità di cibo a tutti. La visione collettiva sull’alimentazione, forse legata ai condizionamenti del passato, è che non ce n’è sia mai abbastanza e che bisogna investire in nuove tecnologie per aumentare le rese agricole, dai fertilizzanti di sintesi alle sementi OGM.
La realtà dei numeri smentisce però questo assunto: di cibo nel mondo ne viene prodotto anche troppo. Il problema, come nel caso di molte altre risorse, non è la scarsità ma spesso la scarsa consapevolezza dei cicli naturali e l’ingiusta distribuzione.
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In Giordania, un progetto pilota dell’International Union for Conservation of Nature sta riportando in vigore la tradizione islamica che prevede il riposo periodo della terra. Come nella rotazione delle colture di origine medioevale, si è visto che lasciando a riposo una parte del suolo, i pastori hanno potuto riscontrare un aumento della resa dei terreni, nonché altri benefici, come la maggiore capacità di assorbire la pioggia e prevenire quindi le alluvioni o un incremento della biodiversità.
Il progetto giordano fa parte di un piano più ambizioso che mira a far comprendere a multinazionali e Governi che la gestione sostenibile dei terreni può aumentare la resa agricola fino a 2,5 miliardi di tonnellate, per un valore economico di quasi un 1 miliardo e mezzo di dollari l’anno (730 milioni di euro).
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Come già dagli anni ’70 sta sostenendo la permacultura – ed un progetto interessante di rinverdimento del deserto è stato proprio sviluppato in Giordania dal pioniere australiano Jeff Lawton – la riscoperta di tecniche tradizionali, insieme ai nuovi valori come la responsabilità sociale d’impresa, la cooperazione e il rispetto delle culture locali, possono aumentare la prosperità e il benessere collettivo, in completa sinergia con gli elementi naturali.
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