Il 23 Marzo 1989 due elettrochimici dell’università dello Utah, i professori Martin Fleischmann e Stanley Pons, con una conferenza stampa ‘shock’, annunciarono al mondo scientifico e mediatico la scoperta della cosiddetta ‘fusione fredda’.
Per comprendere esattamente il concetto, è necessario chiarire brevemente cosa sia la fusione nucleare: essa è la reazione mediante la quale due nuclei leggeri, spesso Idrogeno o suoi isotopi, entrano in collisione fondendosi in un unico nucleo più pesante, sviluppando così una grande quantità di energia. Impossibile ovviamente riassumere un processo così complesso in poche parole ma, quel che importa, è che la causa dell’avvicinamento dei nuclei di idrogeno è data dalla fortissima agitazione termica, generata dalla elevata pressione fra i nuclei di idrogeno. Le temperature estremamente elevate (circa 15.000°C!) generate da questa immensa pressione fanno sì che i nuclei acquisiscano un’energia sufficiente per poter vincere la reciproca repulsione elettrostatica, avvicinandosi così al punto tale da determinare la fusione.
Ecco spiegata la ragione del termine “fusione fredda”, che definisce, per opposizione, una fusione dei nuclei che avviene a temperatura molto, ma molto più bassa dei 15.000°C richiesti dalla tradizionale fusione ‘nucleare’ o, per l’appunto, ‘calda’.
Essa può realizzarsi attraverso due processi: il confinamento ‘muonico’ e il confinamento chimico.
1. Il confinamento muonico:
Il muone è una particella dotata di una massa pari a circa 200 volte quella dell’elettrone e possiede una durata della vita media di circa 2,2 milionesimi di secondo. Tale particella, nel disintegrarsi, converte il 99,5% della sua massa in energia. La prima verifica sperimentale di questo fenomeno fu eseguita nel 1957 da L. Alvarez a Berkeley, ma verifiche approfondite dimostrarono poi che la quantità di energia prodotta, seppur inconfutabilmente prodotta, era molto piccola, poiché il muone riusciva a catalizzare, al più, una sola reazione prima di disintegrarsi. Ad oggi, le ricerche sullo sfruttamento delle potenzialità di questa particella nell’intervallo di temperature che va da -260°C a 530°C, ha portato all’interessante risultato di circa duecento fusioni per ogni muone, un valore comunque ancora troppo basso visto che è appena sufficiente a compensare l’energia di alimentazione dello stesso reattore muonico.
2. Il confinamento chimico:
La fusione fredda, in questo caso, è basata sulla proprietà di grande ‘assorbimento’ che il Palladio ha nei confronti dell’idrogeno e dei suoi isotopi. Proprio su questa caratteristica si basava la cella elettrolitica a “fusione fredda” presentata da Fleischmann e Pons nel 1989.
L’apparato dei due ricercatori era costituito, in buona sostanza, da una soluzione di acqua pesante (acqua col Deuterio in luogo dell’Idrogeno) in cui erano immersi due elettrodi, il negativo (o catodo) costituito dal Palladio e il positivo (o anodo) dal Platino. Alimentando la cella elettrolitica dall’esterno con energia elettrica, i due studiosi avevano ottenuto una serie di prodotti “anomali” per una semplice elettrolisi e, inoltre, una quantità di energia sotto forma di calore maggiore di ben 4 volte quella fornita in ingresso: in sostanza, una reazione di fusione nucleare ottenuta, però, a bassissime temperature.
In seguito altri, rifacendosi alla strada aperta dagli esperimenti dei due elettrochimici, giunsero a risultati analoghi, ma, nonostante l’evidenza dei risultati presentati, gran parte della comunità scientifica internazionale accolse con molte polemiche i risultati sperimentali e, a tutt’oggi, prevale lo scetticismo.
Il vero nodo di questa decennale polemica scientifica si basa sulla mancata riproducibilità ‘esatta’ di questo genere di esperimenti: in pratica, gli effetti descritti, quali gli eccessi energetici e le emissioni di particelle e di radiazioni, non si presentano sempre, ma solo al verificarsi di specifiche condizioni, comprese per ora solo in parte.
Nonostante l’ostacolo sperimentale, da un punto di vista teorico numerosi sono gli sforzi compiuti nella direzione di comprendere l’origine dei meccanismi alla base dei fenomeni di “fusione fredda”.
E’ recentissima la notizia della presentazione di un dispositivo, italiano di nascita, l’E-Cat, che pare aver forse decrittato correttamente il fenomeno della ‘fusione fredda’, rendendolo quindi riproducibile: presentato ufficialmente lo scorso giugno, verrà commercializzato da una piccola azienda greca a partire dal 2013 e, si dice, sarà in grado di fornire energia ad un uso domestico.
Se così fosse, si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione energetica, in grado di liberarci definitivamente dalla perversa dipendenza dai combustibili fossili, peraltro ormai in esaurimento.
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