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Le grandi civiltà del passato estinte per i cambiamenti climatici?

Ne avevamo già parlato in passato con riferimento alla caduta dell’Impero Romano e ne riparliamo oggi, alla luce di nuove evidenze.

Le grandi civiltà del passato estinte per i cambiamenti climatici?

Ma prima un passo indietro e chiariamo per benino l’accezione del termine “mutamento o cambiamento climatico”: rifacendoci alla terminologia scientifica, con il termine mutamento climatico si fa riferimento alla variazione a livello globale del clima della Terra (cambiamento dei valori medi) ovvero, variazioni a diverse scale spaziali e storico-temporali di uno o più parametri ambientali e climatici: temperature (media, massima e minima), precipitazioni, nuvolosità, temperature degli oceani, distribuzione e sviluppo di piante e animali.

Sono imputabili a cause naturali e negli ultimi 150 anni buona parte della comunità scientifica li ritiene dovuti anche all’azione dell’uomo, sotto forma di alterazione dell’effetto serra, le cui esatte influenze sul clima sono ancora in parte materia di acceso dibattito.

Ciò che appare evidente e a cui stiamo assistendo anche noi come diretti protagonisti sono gli sconvolgimenti climatici: periodi di forte siccità alternati ad altri di alluvioni, stagioni particolarmente difficili e che non possiedono più certe caratteristiche. Quello che pochi sanno, però, è che gli “scherzetti” del clima, simili ma molto più lenti rispetto a quelli che vive la Terra, hanno decimato numerose popolazioni e fatto scomparire intere civiltà.

A sostenere la tesi che la caduta di alcune culture sia stata causata da mutamenti climatici millenari è uno dei più importanti epidemiologi del Mondo, l’australiano Anthony Mc Michael attraverso un articolo pubblicato sulla rivista Pnas. A sostegno di questa tesi cita numerosi esempi: il “Grande congelamento”, un periodo durato più di mille anni e caratterizzato da temperature molto basse avvenuto circa 13 mila anni fa e che ha cancellato buona parte degli insediamenti umani lungo il Nilo: “Dagli scheletri di quell’epoca – spiega l’esperto – si vede una proporzione insolitamente alta di morti violente, molte accompagnate dai resti di armi“. Più recente è il caso dei Maya il cui predominio del Centro America è stato minato da tre siccità durate un decennio nel periodo tra il 760 e il 920. Sempre la siccità, stavolta durata dieci anni, ha scatenato le migrazioni interne che hanno portato alla caduta della dinastia Ming in Cina nel 1600.

Secondo lo studioso a volte bastano episodi più brevi per scatenare effetti devastanti. Il settore più delicato è quello dell’agricoltura, con la carestia che rappresenta il fattore più imputabile per la sparizione delle popolazioni: sette anni di alluvioni e clima freddo in Europa nel ‘700 hanno portato ad esempio ad una carestia che ha ucciso il 10% della popolazione e che ha fatto da prologo alla comparsa della peste, mentre una sola estate estremamente calda a Philadelphia nel 1793 è stata sufficiente a causare un’epidemia di febbre gialla che ha fatto decine di migliaia di morti: “Ovviamente nessuna delle antiche civiltà aveva i benefici della medicina o della tecnologia che abbiamo oggi – fa notare McMichael – ma nessuna epoca ha visto cambiamenti climatici improvvisi come quelli che vediamo adesso a causa dei gas serra, che mettono seriamente a rischio la salute e la sopravvivenza di una gran parte della popolazione mondiale“.

Dovremmo far tesoro dell’esperienza passata per capire cosa aspettarci in futuro, le condizioni che hanno portato in passato alle peggiori conseguenze sono del tutto simili a quelle verso cui sta andando il pianeta, ammonisce l’epidemiologo: “L’esperienza storica mostra che cambiamenti di temperatura di uno o due gradi, soprattutto verso l’alto, ma anche verso il basso, possono compromettere le rese dell’agricoltura e influenzare il rischio di malattie infettive. Quindi il rischio per la salute nel futuro in un mondo che vede un riscaldamento indotto dall’uomo a una velocità mai vista prima è molto alto“.

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