Per bio-energia si intende qualsiasi forma di energia, termica e/o elettrica, ottenuta da una biomassa, cioè un materiale di origine organica, animale o vegetale, compresa la parte biodegradabile dei rifiuti urbani e industriali, che non abbia subito alcun processo di fossilizzazione (al contrario, ad esempio, del petrolio o del metano, definiti, appunto, combustibili fossili).
La biomassa rappresenta una delle più consistenti fonti di energia rinnovabile, vista l’eterogeneità dei prodotti, anche se esistono molteplici difficoltà di impiego dovute alla complessa articolazione delle varie fasi di lavorazione delle tre filiere principali (biomasse solide, bioliquidi, biogas). Le tecnologie per ottenere energia variano, infatti, in relazione al tipo e alla struttura chimica della biomassa, così come diversi sono i prodotti energetici che se ne ricavano.
In sintesi, i processi di conversione delle biomasse in energia possono essere ricondotti a due grandi categorie:
In tempi come quelli che corrono, in cui il prezzo del petrolio non ferma la sua corsa sfrenata e l’agricoltura fatica sempre più a garantire un reddito stabile a chi vive del lavoro con la terra, investire sulle bioenergie diventa quasi un imperativo, non solo per promuovere una maggiore sostenibilità, ma anche per diversificare il reddito agricolo.
In Italia, le bioenergie rappresentano un settore in crescita costante, anche se in netto ritardo rispetto ad altre nazioni europee, come Austria e Germania, dove da tempo, ad esempio, le stalle sono dotate di impianti a biogas per recuperare, da un lato, i sottoprodotti derivati dall’allevamento, e, dall’altro, per risparmiare sia sui costi di smaltimento che di gestione.
Secondo il report sulle Bioenergie, curato da Aper (Associazione Produttori Energia da fonti Rinnovabili) e che al febbraio dello scorso anno censiva su tutta la Penisola oltre 700 impianti a biomassa, concentrati per lo più al Nord, il maggiore responsabile del ritardo dell’Italia in questo settore dalle altissime potenzialità sarebbe, manco a dirlo, l’inefficiente sistema legislativo di riferimento, debole sia sul piano delle autorizzazioni che degli incentivi e fatto di proposte che, finora, non hanno perseguito una logica di organicità, stabilità e chiarezza.
Ma qualcosa sta cambiando, e in meglio.
Lo scorso 10 febbraio, infatti, è stato firmato l’accordo tra Enel Green Power e Terrae, la società aderente a Confagricoltura che ha lo scopo di riconvertire e valorizzare il settore bieticolo-saccarifero, che prevede l’acquisizione da parte di Enel del 15% del capitale sociale di Terrae.
Coldiretti, dal canto suo, aveva firmato già il 6 dicembre scorso un protocollo di intesa sempre con Enel per collaborare alla realizzazione di progetti agro-energetici finalizzati alla produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile e, in particolare, da biogas e biomasse solide di origine agricola. Motivo per cui è stata annunciata la creazione di una nuova cordata tra Enel Green Power il CAI (Consorzi Agrari d’Italia) che sarà dedicata prevalentemente alla promozione di progetti di generazione di energia elettrica da biomassa solida e che potrà sviluppare anche progetti per impianti fotovoltaici sui tetti e i terreni dei Consorzi.
Insomma, considerato l’obiettivo dello sviluppo delle fonti rinnovabili imposto dall’Unione Europea da realizzarsi entro il 2020, una delle sfide più importanti pare proprio che si giocherà sul campo della bioenergia.
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