Il cloroformio è un composto chimico che nei tempi passati veniva utilizzato come anestetico. Oggi, questo impiego è stato dimesso per la sua tossicità. Andiamo quindi a capire di cosa si tratta e quali sono i suoi impieghi attuali.
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Il cloroformio – o triclorometano – è una molecola che in passato veniva usata in ambito medico come anestetico generale per via inalatoria. Questo utilizzo è stato poi dimesso per la sua tossicità.
Il cloroformio è un liquido incolore, volatile e dal caratteristico odore piuttosto dolciastro. Ha un peso specifico di 1,502 (quello in commercio 1,485-1,489) e bolle a 62°.
Allo stato puro, per azione dell’aria e della luce, si decompone dando origina alla formazione di altri elementi quali cloro, acido cloridrico etc… Per impedire ciò, viene aggiunto dell’alcool, in percentuale 0,5-1%.
Poco solubile in acqua, il cloroformio è miscibile in tutti i rapporti con etere, alcool assoluto, solfuro di carbonio, grassi e oli essenziali.
La sua formula molecolare è CHCl3, il triclorometano. A partire dal metano (CH4), 3 idrogeni cedono il posto a 3 atomi di cloro (Cl-).
Partendo da una poltiglia a base di acqua e cloruro di calce, si aggiunge alcool o acetone, e si fa riscaldare. Così facendo si distilla il cloroformio.
Come già accennato, in passato il cloroformio veniva usato come anestetico.
Sempre in passato, veniva anche usato per creare – a seguito della reazione con l’acido fluoridrico – il calibro di refrigerazione R-22, un liquido refrigerante di ordine primario, usato negli impianti di condizionamento nell’aria. Oltre a dover essere costantemente monitorato, questo prodotto chimico era fortemente dannoso per lo strato di ozono atmosferico.
Attualmente, il cloroformio viene utilizzato come solvente nei laboratori di ricerca. Essendo una sostanza classificata come tossica e irritante, viene maneggiato solamente da personale specializzato, munito di adeguati mezzi di protezione (camice, mascherina, guanti…).
Inoltre, nelle industrie è utilizzato per la produzione di clorodifluorometano, uno dei precursori del teflon, utile per realizzare i rivestimenti antiaderenti di pentole, padelle e tegami.
Il cloroformio deuterato (CDCl3), ottenuto sostituendo un atomo di idrogeno con un atomo di deuterio, viene invece usato come solvente in caso di risonanza magnetica nucleare e per la spettroscopia NMR.
Svolge un effetto deprimente sul sistema nervoso centrale.
Somministrato in piccole quantità, riduce di molto la percezione del dolore. Inalato in concentrazioni più elevate, provoca uno stato di incoscienza.
L’utilizzo del cloroformio come anestetico risale alla metà del 1800. Il primo ad usarlo in tal senso fu un dentista scozzese, seguito poi da un ostetrico.
Oggi, il cloroformio non è più usato come anestetico per via della sua tossicità. Tra l’altro, in dosi eccessive, può addirittura provocare la morte a seguito dell’abbassamento della pressione sanguigna che induce.
Inoltre, gli vengono attribuite anche danni al fegato e aritmie cardiache.
Inteso come anestetico, il cloroformio agisce nel giro di pochi minuti. Si ritiene che in 5 minuti circa, inspirando da un panno imbevuto di questa sostanza, una persona adulta perda coscienza.
L’etere etilico, o dietiletere o etossietano, funziona come il cloroformio e, a temperatura ambiente, si presenta come un liquido incolore.
Nella SDS del cloroformio compare l’indicazione di pericolo H351, che lo classifica come sospetto cancerogeno.
Inoltre, in caso di esposizione cutanea, vengono indicati anche possibili danni a reni, fegato e pelle (H373, H315).
Per chi in ambito industriale lavora con questa sostanza, si raccomanda estrema prudenza, limitando l’esposizione al minimo indispensabile, ed avendo cura di proteggersi adeguatamente, indossando occhiali/mascherine protettivi da laboratorio, camici protettivi e guanti impermeabili.
In caso di contatto involontario, lavarsi immediatamente (P280, P302). In caso di ingestione, sciacquare la bocca con abbondante acqua e non provocare il vomito a causa dell’effetto corrosivo a livello dell’esofago.
Il prodotto va conservato sotto chiave (P405) al fine di evitare l’esposizione a luce e umidità. Esposto alla luce, può infatti decomporsi in fosgene, composto lacrimogeno, tossico ed asfissiante per l’uomo, usate durante la Prima Guerra Mondiale.
Il cloroformio non è infiammabile, ma temperature elevate possono dar origine a vapori tossici e acidi.
Come visto soprattutto da quanto riportato nella relativa Scheda di Sicurezza, il cloroformio apporta parecchi effetti collaterali. Ormai, il suo impiego in ambito industriale si limita alla produzione del materiale plastico PTFE, che è antiaderente e che resiste al calore.
In Unione Europea a partire dal 2010 il suo utilizzo è stato sempre più limitato. Ormai, è possibile dire che è abolito. La stessa cosa è avvenuta negli Stati Uniti nel 2017.
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