Ambiente

Dove vanno i rifiuti elettronici di tutto il mondo?

La nostra era digitale ci vede quotidianamente alla prese con un quantitativo impressionante di prodotti elettrici ed elettronici che a ritmi sempre più veloci, vista la loro scarsa durata, sono destinati a trasformarsi in una mole notevole di rifiuti altamente pericolosi, denominati e-waste. Mi vi siete mai chiesti dove vanno i rifiuti elettronici di tutto il mondo?

Dove vanno i rifiuti elettronici di tutto il mondo?

Tv, stereo, computer, cellulari, tablet, consolle ed elettrodomestici contengono infatti composti chimici altamente nocivi per la nostra salute, quali piombo, mercurio, cadmio, berillio, metalli pesanti, PVC, cloro, ritardanti di fiamma bromurati ecc.

Una materia così delicata ha imposto una legislazione stringente, ma purtroppo, come spesso accade in campo ambientale, la pratica si discosta nettamente dalla teoria.

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La direttiva europea 2002/95/CE sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) impone la raccolta differenziata per i RAEE, introducendo il principio del ritiro dei vecchi apparecchi al momento dell’acquisto di nuovi.

In pratica, si assegna la responsabilità ai produttori, che hanno l’obbligo di finanziare trasporto, trattamento, recupero e smaltimento finale dei RAEE, pena l’applicazione di sanzioni amministrative. Al contempo, però, la direttiva cerca di limitare l’incidenza di questi costi a carico delle case produttrici, stabilendo degli incentivi a favore delle aziende che introducono accorgimenti per limitare il volume, il peso e la pericolosità degli apparecchi elettrici o elettronici.

In Italia la direttiva è stata recepita col decreto legge 151 del 2005 – entrato in vigore 3 anni più tardi – che prevede la possibilità per i produttori di applicare un sovrapprezzo definito (detto visible fee) sui propri prodotti, al fine di ammortizzare i costi sostenuti per il recupero e il riciclo dei RAEE, garantire il ritiro dei vecchi apparecchi e gestire il riciclo dei rifiuti elettronici, salvaguardando l’ambiente e la salute umana.

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aglogboshie
Nonostante la normativa lo vieti, i tre-quarti dei RAEE prodotti in gran parte negli Usa ed in Europa raggiungono illegalmente Cina – massima importatrice – India e Africa occidentale.

Già dal lontano 1989, inoltre, la Convenzione di Basilea sancisce il divieto di esportazione degli e-waste non destinati al recupero o al riciclo verso i Paesi in via di sviluppo. Ma la realtà è ben diversa, basti pensare che i ¾ dei RAEE prodotti in gran parte negli Usa ed in Europa raggiungono illegalmente Cina – massima importatrice – India e Africa occidentale.

Secondo uno studio del programma ambiente dell’ONU, dal titolo “Where are WEee in Africa”, nel solo 2009 sono approdate nel Continente nero circa 220.000 tonnellate di RAEE provenienti in gran parte dall’Europa, con conseguenze devastanti per l’integrità degli ecosistemi e la salute degli abitanti di quei Paesi.

Solo un terzo di quel materiale nocivo, infatti, è destinato al recupero e al riciclo, mentre la maggior parte sfugge ai controlli e riempie discariche abusive, miniere abbandonate o cave di ghiaia, dopo aver naturalmente fruttato ingenti guadagni a coloro che gestiscono illegalmente questi traffici. Senza dimenticare le gravi responsabilità di quei produttori europei che in tal modo riescono a eludere i costi delle normative ambientali.

In Ghana, dove l’85% dei container illegali carichi di rifiuti elettronici provengono dal Vecchio Continente, Greenpeace ha rilevato concentrazioni 100 volte superiori a quelle normali di piombo, cadmio e antimonio nei suoli dove i RAEE vengono bruciati a cielo aperto (discarica di Agboglobshie, nella capitale Accra e cantiere della città di Korforidua), riscontrando presenze preoccupanti anche di altri veleni quali diossine, cloro e bromo.

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Chi lavora al recupero dai rifiuti di metalli da vendere come il rame e l’alluminio sono inoltre molto spesso bambini, costretti a lavorare in condizioni di totale sfruttamento e senza il rispetto delle minime misure di sicurezza. I giovani smontano e fondono i rifiuti, mentre i fumi sprigionati da queste operazioni esalano tossine e sostanze nocive che contaminano suolo, aria e acqua, mettendo a repentaglio la salute dei lavoratori stessi e degli abitanti di quei territori.

Dall’Africa all’Asia la musica non cambia, così come la responsabilità di Europa e Usa. Al porto di Honk Kong, uno dei più trafficati al mondo, giungono giornalmente decine di migliaia di container, compresi quelli che a bordo camuffano in vari modi i RAEE (nel 2007 le autorità ne hanno sequestrati 27 con oltre 200 tonnellate di materiali pericolosi), destinati principalmente all’enorme centro di riciclo di Huaqing, nella provincia meridionale cinese di Guangdong, o alla città di Guiyu, il più grande centro al mondo di riciclo dei rifiuti elettrici e elettronici, sito a 200 Km dal porto.

Qui, dalla metà degli anni ’90, arrivano annualmente oltre 1 milione di tonnellate di e-waste, gestiti in modo del tutto approssimativo da parte di lavoratori in fuga dalle poverissime province agricole cinesi, che guadagnano la miseria di 10 dollari al giorno. Dopo aver recuperato oro, rame e altri elementi utili con metodi altamente inquinanti (bagni acidi per l’oro, combustioni per il rame…) ogni sera sulle rive del fiume Lian vengono dati alle fiamme i rifiuti da cui non è più possibile estrarre nulla.

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L’acqua di Guiyu è così inquinata da piombo, cromo e zinco da non esserepiù potabile e in tutta la zona si rilevano le concentrazioni di diossine cancerogene più alte al mondo. Il piombo scorre anche nelle vene dei bambini, poiché come rilevato da uno studio dell’Università di Shantou, l’82% di loro ha nel sangue dei livelli elevatissimi di questo metallo.

Se in occidente continua il folle usa-e-getta di prodotti elettronici che inspiegabilmente durano sempre meno, al confine tra Honk Kong e il territorio di Shenzen, proliferano indiscriminatamente i centri di stoccaggio da cui partono i RAEE per raggiungere i siti illegali di smaltimento.

Al consumismo, espressione di una società fondata sul culto dei beni materiali e alla ricerca di nuovi bisogni sempre più effimeri da soddisfare, dove l’obiettivo del massimo profitto contrasta con la necessità della tutela ambientale, fa da contraltare la realtà dei Paesi in via di sviluppo, pronti a trasformarsi in discariche degli eccessi del mondo occidentale, per garantire l’illegale business che arricchisce alcuni trafficanti senza scrupoli e fornisce un’ingiusta risposta alla povertà più nera. A scapito dell’integrità degli ecosistemi e della salute dei meni fortunati sul Pianeta Terra.

Kids Of Sodom
In Ghana, nella discarica di Agboglogshie, chi lavora al recupero di metalli dai RAEE come il rame e l’alluminio sono spesso bambini, in condizioni di sfruttamento e senza il rispetto delle misure di sicurezza, mentre fumi esalano sostanze nocive che contaminano suolo, aria e acqua, mettendo a repentaglio la salute dei lavoratori stessi e degli abitanti

Agboglobshie

Intanto, l’ONU ha promosso l’iniziativa StEP che non solo presenta un quadro dettagliato sulle varie legislazioni nazionali in materia di RAEE, ma ha anche realizzato una mappa interattiva e in costante aggiornamento dove è possibile visualizzare per ogni Paese la quantità di beni elettrici ed elettronici prodotti, con la conseguente generazione di rifiuti.

I dati sono allarmanti: ogni anno nel mondo vengono gettati 50 milioni di tonnellate di vecchi pc (150mila pezzi al giorno nei soli Usa) e la piccola Italia nel 2012 ha prodotto ben 17 Kg di rifiuti elettronici per abitante, giungendo ad un totale di 1 milione di tonnellate l’anno!

CHN: E-Waste
Una ragazzina disassembla pc e lettori CD a Guiyu, Cina. Sin dagli anni ’80, l’e-waste dei paesi industrializzati arriva in questa provincia cinese per essere riciclato. Oltre 5mila famiglie vivono di questo business da 1,5 milioni di tonnellate all’anno, per un guadagno di 55 milioni di euro e di cui l’80% arriva dai Paesi Occidentali

Mentre le successive revisioni della direttiva RAEE cercano di migliorare le operazioni di raccolta nei singoli Paesi europei (obiettivo fissato al 2016 di 45 tonnellate annuali di e-waste per ogni 100 tonnellate di prodotti messi in commercio nel triennio precedente), le soluzioni più valide per arginare questo fenomeno sconcertante restano quelle di migliorare le percentuali di recupero e riciclo in ogni Paese, rafforzando la collaborazione sia nazionale che internazionale ed impedire l’esportazione illegale.

Da parte loro, poi, le aziende dovrebbero impegnarsi a produrre oggetti eletronici più duraturi e più puliti, cercando di utilizzare sostanze alternative a quelle nocive che garantirebbero il riciclo sicuro, mentre i consumatori farebbero bene ad abbandonare la corsa all’acquisto dell’ultimo modello, impegnandosi a riparare quando possibile: questo continuo ricambio dettato dal mercato, infatti, non fa altro che generare tonnellate su tonnellate di rifiuti pericolosi, che si sottraggono troppo spesso allo smaltimento legale.

Solo tali atteggiamenti virtuosi potranno fornire risposte adeguate al turpe fenomeno delle esportazioni illegali di rifiuti elettronici, che compromette la nostra salute e quella del mondo in cui viviamo.

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Un commento

  1. Sono anni che facciamo sensibilizzazione su queste tematiche, ma sosprattutto che riusciamo a ricollocare centinaia di computer ogni anno attraverso l’associazione di volontariato Progetto Nuova Vita. E’ stato ideato un progetto ribattezzato Rigeneri@mo in collaborazione con l’Ufficio Scolastico di Varese e Como, con le sole nostre forze riusciamo a soddifarne poco più di una decina l’anno, ma se si unissero nuovi volontari, potremmo pensare di realizzare una rete a livello nazionale e i numeri crescerebbero in maniera significativa. Anche TU che ora stai leggendo…potresti fare la differenza unendoti a noi.

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