Noi Italiani, si sa, siamo bravi nelle piroette.
Non c’è bisogno di vedere i mille voltafaccia nella crisi libica: il trasformismo fa parte del dna nazionale ed è una costante di qualsiasi grande progetto.
Ora tocca all’Expo 2015 di Milano: mancano quattro anni scarsi alla fatidica data che dovrebbe mettere Milano al centro della mappa mondiale ed ecco che il progetto dell’Expo pare già consumarsi tra cambi di orientamento, ripartenze, sostituzioni ai vertici e difficoltà di reperire finanziamenti.
L’ultimo cambio di direzione dell’Expo milanese è l’addio a sorpresa all’orto planetario annunciato dal Direttore Generale Giuseppe Sala, che sembra indicare un radicale riposizionamento della manifestazione.
L’Expo 2015, ricordiamolo, era stata inizialmente concepita come un grande orto globale, dove i vari paesi avrebbero dovuto mettere in scena letteralmente le colture del mondo: il trait d’union della manifestazione sarebbe il tema della sostenibilità, attuale oggi come tra quattro anni in un Pianeta dove la popolazione cresce e le risorse diminuiscono.
Questa, almeno, era l’idea di Expo presentata nel 2009 che aveva riscosso un consenso bipartisan.
Ora, invece, il Direttore Generale dell’Expo Giuseppe Sala spiega il cambio di orientamento, che ha scatenato l’opposizione del centro sinistra: «La mia opinione è che vendere l’Expo come un enorme orto botanico è un errore grandissimo. Non stiamo cambiando il progetto, ma il concetto di un’Expo eccessivamente verde non sfonda. Lo dico in termini di comprensione dei Paesi, delle aziende e dei visitatori, che dovranno venire a vedere un evento che nella storia ha sempre significato una finestra sul progresso».
Un’analisi certamente vera, anche se ci si dimentica di citare il fatto che sono cambiati i tempi rispetto alla seconda metà dell’800, intrisa di positivismo e illimitata fiducia nel progresso industriale, che ispirò le prime esposizioni universali.
Il capolista del Pd alle prossime comunali, Stefano Boeri, che era stato uno degli ideatori dell’orto globale, lancia l’allarme: «Ho timore che un progetto meno verde e più tecnologico sia soltanto funzionale a costruire un domani più metri cubi. Sono spaventato da una classe politica che, dopo aver ricevuto gli apprezzamenti di tutta la comunità internazionale, svende l’orto per rispondere alle aspettative edificatorie dei proprietari privati».
Un sospetto che Sala respinge: «Ogni allusione alla volontà di aumentare il cemento è fuori luogo. Il concept plan elaborato dalla prima Consulta degli architetti prevedeva per i Paesi spazi espositivi coperti pari a 84.000 metri quadrati, che sono scesi a 80.000 nel masterplan di registrazione. Le volumetrie dei padiglioni sono addirittura diminuite rispetto al concept plan di Boeri e degli altri architetti. Il sito conserva integralmente le sue caratteristiche di vivibilità e grande equilibrio ambientale e paesaggistico. Restano infatti inalterati sia il progetto delle serre che quello degli agrosistemi. Dal punto di vista della sostenibilità stiamo quindi confermando tutti gli impegni previsti» ma che non fugano le vere domande.
Che cosa vogliamo che sia davvero questa Expo?
Siamo sicuri che la vera motivazione sia lo scarso appeal del verde citato da Sala? Quando a Londra per le Olimpiadi 2012 sono previsti più di seicento spazi per gli orti urbani?
E se anche fosse vero, non sarebbe preoccupante che il verde non abbia appeal all’estero? Non sarebbe il caso di mandare un messaggio forte al mondo?
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