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Exxon Valdez, 20 anni dopo ancora danni

Il tempo fatica a cancellare gli effetti nefasti della fuoriuscita di petrolio nel mare. E anche a vent’anni dal 24 marzo 1989, quando la superpetroliera Exxon Valdez s’incagliò nel Golfo di Prince William Sound in Alaska disperdendo in mare 41.000 tonnellate di greggio, i circa 2.000 km di costa non sono ancora ‘decontaminati’ dalla marea nera.

Exxon Valdez, 20 anni dopo ancora danni

Quello fu il più grave disastro ambientale nella storia degli USA, con la perdita di 250.000 uccelli marini, 2.800 lontre, 300 foche, 140 aquile ed una cifra non quantificabile di pesci, invertebrati e piante marine. Senza contare i danni al turismo e ai residenti, in gran parte pescatori e nativi dell’Alaska, che vivevano principalmente delle risorse marine.

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Eppure dopo tanto tempo da questa sciagura petrolifera, la Natura fatica ancora a smaltire la letale intossicazione da idrocarburi. I trattamenti con l’acqua calda si sono dimostrati nocivi e si pensa che vi siano ancora 60.000 litri di petrolio nelle insenature del golfo, mentre gli animali continuano a mostrare i segni dell’inquinamento.

Uno studio della British Columbia University sugli esemplari dell’anatra Moretta Arlecchino presenti nell golfo di Prince William ha dimostrato che questi animali sono stati esposti ai residui petroliferi almeno fino al 2009. Gli scienziati dell’Alaska Science Center e del National Marine Fisheries Service, inoltre, hanno scoperto che la velocità di ripresa delle lontre è molto più bassa rispetto a quella prevista, dato che questi animali continuano a frequentare le spiagge contaminate e ad imbattersi almeno 10 volte l’anno negli olii residui.

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Nella sola prima settimana l’impatto economico di questa tragedia ambientale è stato di ben 218,6 milioni di dollari e relative a sole 4 specie animali, ma la Exxon ha corrisposto cifre per il ripopolamento del tutto inadeguate ai danni procurati.

Il turismo, che perse subito 26.000 posti di lavoro e più di 2,4 miliardi di dollari, arranca ancora così come l’industria della pesca, con migliaia di pescatori costretti alla bancarotta e conseguenze letali per l’economia di sussistenza delle popolazioni native, ancora impaurite da quella contaminazione figlia del “progresso”. Aringhe e salmoni non son più tornati ai livelli pre-incidente e molti pescherecci son rimasti fermi al palo.

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Di fronte a questa situazione sconfortante, resta un paradosso. La Exxon, condannata nel 1994 dalla Corte dell’Alaska a pagare 5 miliardi di dollari per ripagare i danni, dopo vari ricorsi se l’è cavata con poco più di 500 milioni di dollari.

Una goccia nella marea nera, che fa ancora paura…

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