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Fusione fredda: che cos’è? Può funzionare davvero?

Se n’è parlato molto in alcuni periodi, ma spesso con riferimenti oscuri o confusi: fusione fredda, che cos’è? Cerchiamo di vederci chiaro.

Fusione fredda: che cos’è? Può funzionare davvero?

Con l’espressione ‘fusione nucleare fredda’ si intende definire un fenomeno di natura nucleare che si verificherebbe a pressioni e temperature molto più basse di quelle necessarie per ottenere la fusione nucleare ‘calda’, cioè tradizionale.

Un po’ di storia sulla fusione fredda

Il fenomeno, che in realtà provoca a tutt’oggi scetticismo nella comunità scientifica internazionale, è stato scoperto a seguito degli esperimenti condotti dai professori Martin Fleischmann e Stanley Pons dell’Università dello Utah, nel 1989, quando i due fisici, che si occupavano di fusione calda, annunciarono di aver ottenuto ‘calore in eccesso’ conducendo elettricità tra platino e palladio in celle d’acqua pesante (cioè acqua molto arricchita di deuterio, isotopo dell’idrogeno, e più densa dell’acqua normale di circa l’11%).

Immediatamente, l’annuncio di Pons e Fleischmann causò un terremoto all’interno della comunità scientifica: la mancanza di una spiegazione teorica al fenomeno le sue difficoltà a livello di riproducibilità contribuirono a creare un diffuso scetticismo all’interno della comunità scientifica.

Questo particolare fenomeno scientifico o para-scientifico si ravviva negli anni 2000, con protagonisti tutti italiani. Dapprima grazie agli studi del Prof. Giuliano Preparata e più recentemente grazie a Sergio Focardi, professore all’Università di Bologna, che, in tandem con l’ingegnere Andrea Rossi, ha inventato un prototipo, denominato E-Cat (Energy Catalizer) per la fusione a freddo.

E-Cat,  un congegno piuttosto semplice (almeno dimensioni e per numero di pezzi), funziona riscaldando a una temperatura non molto alta un sistema formato da nichel e idrogeno: in un recente esperimento pubblico, ha ottenuto la ‘penetrazione’ del nucleo di nichel da parte di quello dell’idrogeno, generando una reazione nucleare che ha liberato energia.

Ma l’aspetto più interessante dell’esperimento, i cui dettagli tecnici sono però ancora non chiari, è che, soprattutto, questa fusione sarebbe stata in grado di produrre una quantità di energia pulita di molto superiore a quella utilizzata per avviare la reazione stessa: infatti, a fronte di un investimento iniziale di energia pari a 1 kilowatt, ridotto in pochi minuti a 400 watt, il reattore sarebbe in grado di produrre ben 14 kw di energia, con un guadagno energetico di 31 volte superiore a quello in entrata.

Non solo: Focardi e Rossi sarebbero stati in grado di abbattere quasi totalmente i raggi gamma, ovvero i raggi radioattivi naturalmente sprigionati nel corso di una fusione nucleare.

Energia in abbondanza e, per di più, energia pulita, quindi, destinata anche al riscaldamento domestico e non parente stretta dell’industria bellica come accade nel caso del nucleare per come lo si conosce normalmente?

Troppi condizionali? Troppo bello per essere vero!

Questo prototipo creato, di dimensioni analoghe ad una apparecchiatura domestica non è diventato una commodity come sarebbe stato bello pensare. Non ci soffermiamo sui vari passaggi societari che avrebbero dovuto portare E-Cat ad essere prodotto in serie da una società greca con sede a Cipro, la Defkalion.

I risultati degli esperimenti condotti dai due studiosi non hanno mai convinto del tutto la comunità scientifica, scettica di fronte a una realtà sperimentale che, sul piano della teoria, non è spiegabile: le particelle di nichel e di idrogeno, infatti, secondo le leggi della fisica, essendo entrambe di segno positivo, non dovrebbero interagire tra loro.

E soprattuto E-Cat non si è affermato come un generatore di energia portatile affidabile, anzi, se ne sono perse le tracce nel corso degli anni. Come molti scettici avevano a suo tempo previsto.

Fusione fredda: per comprendere meglio il concetto

Prima di tutto, è necessario chiarire brevemente cosa sia la fusione nucleare: essa è la reazione mediante la quale due nuclei leggeri, spesso Idrogeno o suoi isotopi, entrano in collisione fondendosi in un unico nucleo più pesante, sviluppando così una grande quantità di energia. Impossibile ovviamente riassumere un processo così complesso in poche parole ma, quel che importa, è che la causa dell’avvicinamento dei nuclei di idrogeno è data dalla fortissima agitazione termica, generata dalla elevata pressione fra i nuclei di idrogeno.

Le temperature estremamente elevate (circa 15.000°C!) generate da questa immensa pressione fanno sì che i nuclei acquisiscano un’energia sufficiente per poter vincere la reciproca repulsione elettrostatica, avvicinandosi così al punto tale da determinare la fusione.

Ecco spiegata la ragione del termine “fusione fredda”, che definisce, per opposizione, una fusione dei nuclei che avviene a temperatura molto, ma molto più bassa dei 15.000°C richiesti dalla tradizionale fusione ‘nucleare’ o, per l’appunto, ‘calda’.

Essa può realizzarsi attraverso due processi: il confinamento ‘muonico’ e il confinamento chimico.

Il confinamento muonico

Il muone è una particella dotata di una massa pari a circa 200 volte quella dell’elettrone e possiede una durata della vita media di circa 2,2 milionesimi di secondo. Tale particella, nel disintegrarsi, converte il 99,5% della sua massa in energia. La prima verifica sperimentale di questo fenomeno fu eseguita nel 1957 da L. Alvarez a Berkeley, ma verifiche approfondite dimostrarono poi che la quantità di energia prodotta, seppur inconfutabilmente prodotta, era molto piccola, poiché il muone riusciva a catalizzare, al più, una sola reazione prima di disintegrarsi. Ad oggi, le ricerche sullo sfruttamento delle potenzialità di questa particella nell’intervallo di temperature che va da -260°C a 530°C, ha portato all’interessante risultato di circa duecento fusioni per ogni muone, un valore comunque ancora troppo basso visto che è appena sufficiente a compensare l’energia di alimentazione dello stesso reattore muonico.

Il confinamento chimico

La fusione fredda, in questo caso, è basata sulla proprietà di grande ‘assorbimento’ che il Palladio ha nei confronti dell’idrogeno e dei suoi isotopi. Proprio su questa caratteristica si basava la cella elettrolitica a “fusione fredda” presentata da Fleischmann e Pons nel 1989.
L’apparato dei due ricercatori era costituito, in buona sostanza, da una soluzione di acqua pesante (acqua col Deuterio in luogo dell’Idrogeno) in cui erano immersi due elettrodi, il negativo (o catodo) costituito dal Palladio e il positivo (o anodo) dal Platino.

Alimentando la cella elettrolitica dall’esterno con energia elettrica, i due studiosi avevano ottenuto una serie di prodotti “anomali” per una semplice elettrolisi e, inoltre, una quantità di energia sotto forma di calore maggiore di ben 4 volte quella fornita in ingresso: in sostanza, una reazione di fusione nucleare ottenuta, però, a bassissime temperature.

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In seguito altri, rifacendosi alla strada aperta dagli esperimenti dei due elettrochimici, giunsero a risultati analoghi, ma, nonostante l’evidenza dei risultati presentati, gran parte della comunità scientifica internazionale accolse con molte polemiche i risultati sperimentali e, a tutt’oggi, prevale lo scetticismo.

Il vero nodo di questa decennale polemica scientifica si basa sulla mancata riproducibilità ‘esatta’ di questo genere di esperimenti: in pratica, gli effetti descritti, quali gli eccessi energetici e le emissioni di particelle e di radiazioni, non si presentano sempre, ma solo al verificarsi di specifiche condizioni, comprese per ora solo in parte.

Nonostante l’ostacolo sperimentale, da un punto di vista teorico numerosi sono gli sforzi compiuti nella direzione di comprendere l’origine dei meccanismi alla base dei fenomeni di “fusione fredda”.

Che questa possa essere una soluzione in grado di produrre energia pulita e rinnovabile, però, non sembra più crederlo quasi nessuno.

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