Google Energy: alle radici della strategia green di Google
Quando lo scorso dicembre Google aveva comunicato di volere entrare nel settore delle energie rinnovabili, creando una divisione dedicata, Google Energy, c’erano state diverse speculazioni in merito alla strategia di Google in questo campo ed alle sue reali motivazioni.

Se da un lato c’era chi diceva che il gigante della search di Mountain View aveva fiutato il business dei prossimi anni e voleva avere la sua fetta di questo mercato, dall’altro alcuni commentatori avevano fornito una spiegazione un po’ più idealistica, di ritorno alla missione originaria di Google, al famoso motto del “Don’t be evil”.
Dove stia la verità non è difficile vederlo, partendo da una considerazione molto semplice: Google, va innanzitutto ricordato, è sicuramente una delle imprese che consuma più elettricità nel mondo – e per produrre tutta questa elettricità viene immessa nell’atmosfera una quantità notevole di CO2 – a causa dell’enorme infrastruttura distribuita di data center in giro per il mondo, oltre che per alcune specificità dell’attività di search (avete presente il crawler di Google che passa sul vostro sito periodicamente per indicizzarlo? Provate a pensare il dispendio di energia per passare su qualche miliardo di siti e aggiornarne l’indicizzazione, con frequenze addirittura infragiornaliere!) . Per Google, questo aspetto è stato fonte di preoccupazione da diversi anni e spiega in parte l’interesse che i due fondatori hanno sempre avuto per le fonti di energia rinnovabile. Dal punto di vista di Google, dati i messaggi che ha voluto veicolare da sempre col suo brand, essere percepita come impresa non ecosostenibile è semplicemente inammissibile ed anzi essere i primi della classe dal punto di vista ambientale è ora parte della mission aziendale.
Che Google abbia un problema dal punto di vista della sostenibilità ambientale, è indubbio: lo scorso Aprile Greenpeace aveva pubblicato una versione aggiornata del proprio Cool IT leaderboard, una sorta di graduatoria green di multinazionali hi-tech, dove si teneva conto di tre parametri: soluzioni pratiche, emissioni e influenza. Google, al sesto posto su quindici, non ne usciva male ma nemmeno benissimo ed anzi erano molti quelli che criticavano Google per non rendere noto il suo carbon footprint a differenza di altre aziende.
La risposta di Google è stata quella di progettare uno scenario a zero emissioni per il 2030 e qui Google Energy sarà un’importante leva operativa. Vediamo come.
Che cos’è innanzitutto Google Energy:
Google Energy è una società domiciliata nello stato del Delaware (lo Stato in America che garantisce maggiori esenzioni fiscali). Ha richiesto e ottenuto lo scorso gennaio l’autorizzazione ad operare nel mercato delle energie rinnovabili dalla Federal Energy Regulatory Commission (FERC), l’autorità competente nel mercato energetico.
La scorsa settimana Google Energy ha siglato il suo primo accordo diretto di acquisto di energia rinnovabile, ma questa è solo l’ultima mossa da parte di Google in campo energetico, un campo dove Google gioca la sua partita su più fronti (come investitore, come innovatore, come trader di energia di fonte rinnovabile e come utilizzatore di tecnologie green dal contenuto innovativo).
Ricapitolando le mosse della società californiana emerge uno schema che vede Google impegnata ad individuare tutte le occasioni di business nel campo delle energie green, accreditarsi come impresa innovativa nel campo delle rinnovabili e ridurre in prospettiva le proprie emissioni: come unire utile e dilettevole insomma.
Ecco le principali operazioni portate a termine da big G in questo campo, oltre alla costituzione di una divisione dedicata come Google Energy, che non lasciano adito a interpretazioni su quale sia il focus di Google:
- Nel 2009 è stato rilasciato un software free (PowerMeter), che permette agli utenti di tenere sotto controllo il proprio consumo di energia.
- Lo scorso Marzo, è stato annunciato da Google stessa che è in corso di sviluppo una tecnologia proprietaria che permetterebbe di abbattere drasticamente il costo dei pannelli solari, di almeno la metà, da quanto riportato: una serie di innovazioni di prodotto che riguardano sia gli specchi, che gli eliostati, i dispositivi utilizzati per seguire il percorso del sole durante il giorno.
- Lo scorso Febbraio Google ha preso parte al roadshow di Bloom Energy, società fornitrice di Google e finanziata da Google stessa: Bloom Energy, che per alcuni commentatori è la “next big thing” del campo energetico, produce energy server basati sul principio delle celle o pile a combustibile, una tecnologia il cui costo di produzione è stato tradizionalmente troppo alto fino ad oggi per applicazioni commerciali su larga scala, ma che a Bloom Energy è stata resa più efficiente e meno costosa in termini di materiali utilizzati.
- Lo scorso Aprile, l’investimento di 38,8 milioni di dollari in un parco eolico in North Dakota, sviluppato da NextEra Energy Resources, che a regime produrrà 169,5 megawatt di potenza, un’energia sufficiente per alimentare circa 55mila abitazioni.
- Nel corso degli ultimi due anni, il Googleplex, la sede a Mountain View di Google, è stata interamente ricoperta di pannelli solari, una mossa di valenza simbolica, che enfatizza la volontà di Google di diventare carbon neutral nel lungo periodo.
E, per chi conosce da vicino Google, questo non è che l’inizio: un’impresa tecnologica, seduta su una montagna di cash, che ha fiutato il business energetico e che ha bisogno estremo di ridurre le sue emissioni. Ossia, tutti i presupposti per la prossima rivoluzione.
Mossa davvero molto apprezzabile, soprattutto per quanto riguarda l’impatto economico che Google deve affrontare per queste operazioni. C’è da dire che il ritorno d’immagine nei prossimi anni potrebbe essere notevole però!