La produzione mondiale di plastica supera i 250 milioni di tonnellate l’anno e richiede l’impiego di circa l’8% della produzione mondiale di petrolio. Per i rifiuti successivamente prodotti solo il 3% è riciclato, mentre il restante è disperso in ambiente dall’uomo, abbandonato in terreni agricoli, fiumi e mari (ben sette milioni di tonnellate finisce negli oceani).
L’analisi condotta dalla Scripps Institution of Oceanography dell’Università di California, effettuata tramite una spedizione in Oceano Pacifico nell’agosto 2009 e pubblicata recentemente sulla rivista Marine Ecology Progress Series, fornisce per la prima volta dati concreti riguardo le conseguenze di tali cattive abitudini.
Il gruppo di ricercatori ha viaggiato per centinaia di chilometri nell’oceano Pacifico settentrionale per raccogliere esemplari di pesce: più del 9 per cento del pescato aveva piccoli pezzi di plastica nello stomaco.
Dall’elaborazione dei loro risultati è emerso che i soli pesci che abitano il nord dell’oceano Pacifico ingeriscono tra 12.000 e 24.000 tonnellate di plastica l’anno. L’effetto della presenza di questi rifiuti è devastante non solo per gli abitanti dei mari, ma per la sopravvivenza dell’ecosistema, in quanto si può impedire alla luce solare di raggiungere il fondo marino, arrestando cosi anche la crescita delle alghe autoctone, come si evidenziava anche in questo articolo Great Pacific Garbage Patch: un oceano di plastica!.
Un primo passo per l’eliminazione di tale forma di inquinamento è stato compiuto anche dal Governo italiano. Da gennaio 2011 sono stati, infatti, messi al bando i sacchetti di plastica utilizzati per la spesa non conformi alla norma tecnica comunitaria EN 13432 a seguito di un divieto sancito dall’Europa. Si bandisce, in tal modo, la busta in polietilene, un materiale i cui tempi di degradazione vanno dai 100 ai 1000 anni.
Al suo posto saranno disponibili materiali più biodegradabili e quindi ecologici, composti principalmente da farina, amido di mais, grano e altri cereali.
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