Il progetto “Our common waters” in Patagonia
La Patagonia ha lanciato quest’anno la campagna “Our common waters” (“Le nostre acque comuni”). Lo scopo è quello di equilibrare il consumo dell’acqua da parte dell’uomo con quello delle piante e degli animali.
La campagna, che si svilupperà in un percorso che durerà due anni, si concentra sull’imminente “crisi dell’acqua dolce”. Oltre ad evidenziare l’urgenza di bilanciare il nostro consumo d’acqua con quello del pianeta, si pone anche l’obiettivo di trovare i modi per ridurre tale consumo.

“In Patagonia, stiamo giusto iniziando a conoscere la quantità acqua che consumiamo – o quanta acqua viene sprecata” dice Vincent Stanley, co-editore del blog “The Footprint chronicles” (“Le cronache dell’impronta”). “Abbiamo bisogno di educare meglio noi stessi e le imprese”.
Ogni individuo consuma una quantità d’acqua pari a una piscina Olimpionica – cioè 2.5 milioni di litri – ogni anno, solo per riempire l’annaffiatoio con cui vengono bagnate le coltivazioni di cotone per produrre i jeans. Le imprese, compresa quella agroalimentare, sono direttamente responsabili della maggior parte del consumo d’acqua, sostiene Stanley. “Come individui, dobbiamo ricordarci che molta dell’acqua sprecata non fuoriesce dal rubinetto che apriamo per lavare i piatti, ma piuttosto la nostra porzione va sommata a quella della produzione industriale e del consumo” aggiunge.
Il problema principale è che la Patagonia utilizza 174 litri d’acqua per produrre un solo paio di jeans di puro cotone. Dalla coltivazione alla fioritura, e poi per la tessitura, la cucitura e la spedizione, si usa abbastaza acqua per dissetare 58 persone ogni giorno. Benché il cotone, in Patagonia, sia coltivato in zone aride, i jeans vanno considierati molto meno bisognosi d’acqua rispetto alla produzione di una camicia di cotone pima, che richiede 2.304 litri, ovvero un giorno di acqua potabile per 768 persone, anche con l’irrigazione a goccia migliorata, che utilizza dal 20 al 30 % cento di H20 in meno, rispetto all’irrigazione tradizionale.
La buona notizia è che tutte le imprese anelano a tagliare i costi, inclusi quelli relativi al consumo di risorse. “Avremo il nostro bel da fare quest’anno e negli anni a venire” dice Stanley. “Non solo per diventare pienamente consapevole di quanta acqua serve per la realizzazione di ogni prodotto, ma soprattutto per cominciare a ridurne lo spreco”.
Autrice: Emanuela Callai
Articoli correlati: Patagonia senza dighe: biodiversità o rinnovabili?