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Illegali metà dei sacchetti in bioplastica che circolano in Italia

Sono a norma di legge le buste di plastica utilizzate dalla Grande distribuzione organizzata? Una campagna di monitoraggio condotta da Legambiente a livello nazionale pone dei forti dubbi. Su 37 sacchetti per la spesa prelevati presso vari punti vendita di sette differenti regioni, sono ben 20 (ovvero il 54% del totale), quelli risultati non conformi alla legge che ha messo al bando gli shopper non compostabili.

Illegali metà dei sacchetti in bioplastica che circolano in Italia

A livello territoriale emergono le differenze tra nord e sud Italia. Se in Lombardia e in Veneto non sono stati registrati casi di irregolarità, in cinque regioni meridionali 20 stopper di bioplastica si sono rivelati illegali (sette in Campania, sei in Basilicata, tre in Puglia, tre in Calabria e uno nel Lazio). La maglia nera delle province va a Potenza con sei buste fuori-legge, mentre tra i punti vendita della Gdo il record negativo spetta a Sigma (cinque unità non conformi).

«Siamo di fronte a una diffusa situazione di illegalità nel settore delle buste per l’asporto delle merci, e questo è evidente nonostante abbiamo evitato di fare verifiche sui tanti piccoli negozi commerciali e sui mercati rionali, dove la situazione è visibilmente ancor più grave, anche a causa di una azione capillare da parte di alcuni distributori che vendono, anche online, sacchetti palesemente fuori legge», ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente Stefano Ciafani.

Nonostante sia in vigore da anni e preveda multe salatissime, il bando sui sacchetti di plastica è ancora ben lungi dall’essere applicato. Una questione aperta che suscita una vasta indignazione tra gli ambientalisti, come emerge dalle stesse parole di Ciafani: «È arrivato il momento di far rispettare una legge che permette di ridurre l’inquinamento da plastica, di migliorare la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti e la produzione di compost di qualità, promuovendo la riconversione industriale verso innovativi processi di chimica verde da fonti rinnovabili, come già avvenuto, ad esempio, nel polo industriale di Porto Torres. Certo, anche le forze dell’ordine e la magistratura dovranno attivarsi per fermare questa diffusa situazione di illegalità».

In seguito ad altri controlli a campione sulla filiera dei sacchetti di plastica, Legambiente e Cnr Catania hanno scoperto che metà degli shopper in circolazione contengono polietilene e dunque non sono legali. Su 26 buste prelevate in vari supermercati della Gdo e sottoposte ad analisi, solo quattro hanno rivelato l’assenza di polietilene, mentre sei ne contenevano una quantità superiore a quella consentita.

SPECIALE BIOPLASTICHE:

Sul business della plastica ha allungato i suoi tentacoli la criminalità organizzata, che ha indirizzato i suoi loschi interessi anche in questo settore, imponendo ai commercianti l’acquisto e la distribuzione di prodotti non compostabili e non conformi agli standard UNI EN 13432. I numeri di questo business illecito sono eloquenti: la filiera legale ha perso circa 160milioni di euro, a fronte dei 30 di evasione fiscale e di altri 50 per lo smaltimento delle buste illegali.

«L’iniziativa di Legambiente e del Cnr di Catania è l’ennesima conferma del grave e diffuso contesto di illegalità in cui si trovano ad operare le aziende socie di Assobioplastiche, costrette a competere con imprese che pur di ottenere profitti illeciti arrivano a tagliare i bioshopper con il polietilene, plastica non biodegradabile, non consentita né dalla legge né dalla norma internazionale UNI EN 13432:2002», ha dichiarato Marco Versari, presidente di Assobioplastiche.

Legambiente ha avviato la campagna #UnSaccoGiusto per sensibilizzare e informare i consumatori su questo delicato tema. Testimonial d’eccezione è Fortunato Cerlino, l’attore che interpreta il boss di Gomorra Pietro Savastano, qui in prima linea per denunciare con un cortometraggio l’infiltrazione mafiosa nel settore delle bioplastiche. Al di là dei traffici illeciti, è facile capire quale sia il danno per l’intera comunità: i sacchetti di plastica che contengono polietilene, un derivato del petrolio, una volta dispersi nell’ambiente impiegano mille anni prima di degradarsi, con un grave impatto sul nostro ecosistema.

Volete sapere come si fa a riconoscere uno shopper monouso biodegradabile e compostabile conforme alla legge? Molto semplice, controllate sul sacchetto se è riportata la dicitura “biodegradabile e compostabile”, se è citato lo standard europeo (UNI EN 13432:2002), e infine se compare il marchio di un ente certificatore, che tutela il consumatore come soggetto terzo (Cic, Vincotte e Din Certco sono alcuni dei più noti). In assenza di tali riscontri potete star certi che la vostra busta rientra tra quelle illegali!

La norma europea UNI EN 13432 definisce le caratteristiche degli imballaggi compostabili o dei materiali che possono definirsi tali, poiché riciclabili attraverso il recupero organico (compostaggio e digestione anaerobica). Un materiale plastico può esser classificato come compostabile se rispetta le caratteristiche di biodegradabilità, così sintetizzabili: capacità del materiale di essere convertito in anidride carbonica (CO2) grazie all’azione di microrganismi (pari al 90% del totale da raggiungere entro sei mesi); frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale (disintegrazione);  frazione visibile inferiore al 10% della massa iniziale; assenza di metalli pesanti;  nessun effetto negativo sul processo di compostaggio e sulla qualità del compost finale.

Il divieto di commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili e non compostabili fu approvato nel dicembre del 2006, grazie a un emendamento dell’allora senatore Francesco Ferrante alla legge finanziaria 2007 (n. 296/2006). A quest’ultima sono seguite diverse norme, la principale delle quali (legge n. 28 del 24 marzo 2012) ha ulteriormente definito i dettagli del bando, stabilendo anche il limite di una percentuale di plastica riciclata per i sacchi riutilizzabili realizzati in plastica tradizionale (pari ad almeno il 30% per quelli ad uso alimentare o il 10% per i restanti destinati ad altri utilizzi), al fine di favorire il nuovo impiego del materiale plastico proveniente dalla raccolta differenziata.

La proposta di direttiva europea definita nella primavera del 2014 ha ripreso l’impianto della normativa italiana, che grazie alla legge n. 116 dell’11 agosto 2014 ha definito anche le sanzioni amministrative pecuniarie per chi commercializza sacchetti non conformi o false “buste-bio”, che vanno dai 2.500 ai 25mila euro di multa, aumentabili fino al quadruplo del massimo (ovvero 100mila euro), se la violazione del divieto riguarda quantità ingenti di sacchi per l’asporto oppure un valore della merce superiore al 20% del fatturato del trasgressore.

Le norme ci sono, non resta che vigilare e farle applicare!

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