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Impianti fotovoltaici: dal “farwest legislativo” al quarto Conto Energia

Oggi Andrea Quaranta, il nostro esperto legale di Natura Giuridica, fa il punto sulla situazione legislativa legata alla localizzazione degli impianti fotovoltaici e alle molteplici realtà sostenibili (ambientali, energetiche, economiche, sociali, culturali, giuridiche…) fornendoci, come sempre, un insignt ricco di approfondimenti e spunti di riflessione.

Impianti fotovoltaici: dal “farwest legislativo” al quarto Conto Energia

Ecco cosa ci dice Andrea.

L’installazione e localizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola è stata oggetto, nel 2009 e nel 2010, di una bolla speculativa dovuta, in parte, alla grande convenienza del sistema di incentivi statali e, in parte, al vuoto normativo, figlio del ritardo (protrattosi per 7 anni) con il quale sono state emanate le linee guida nazionali per la localizzazione degli impianti a energie rinnovabili.

Gli elevati incentivi per la realizzazione di impianti fotovoltaici hanno prodotto  famosi quattro Conti Energia. Il primo ed il secondo sono serviti proprio a far fronte agli onerosi costi della tecnologia fotovoltaica ed a favorire la diffusione di impianti a energia rinnovabile (anche) in vista del rapido avvicinarsi del 2020, la data entro la quale occorrerà raggiungere una serie di obiettivi in materia di riduzione delle emissioni inquinanti, produzioni energetiche da fonti non fossili e risparmio ed efficienza energetici.

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Il boom del fotovoltaico c’è stato ma non si è creata una filiera italiana del settore: i materiali sono stati per molto tempo quasi tutti di importazione… Eppure l’opportunità è stata colta da molte imprese.

C’è chi ha ampliato la propria offerta commerciale (elettricisti, per l’installazione di impianti di piccole dimensione, soprattutto).
C’è chi (pochi, per la verità) ha avviato la produzione dei componenti.
C’è chi ha colto nell’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti dei loro immobili e sui terreni di loro proprietà un’interessante opportunità di affrancamento dalla bolletta energetica e, al contempo, di rendita finanziaria garantita.

Questi ultimi in particolare hanno avuto nello specifico una “rendita finanziaria diversamente modulata”: l’affitto proposto, per fare un esempio, non poteva – e non può – non essere contestualizzato, tenendo conto delle specifiche clausole contrattuali e di una serie di condizioni (come quella relativa allo smaltimento dei pannelli al fine del loro ciclo di vita) non dette ma molto importanti, e onerose, dal punto di vista economico. Sono stati perciò molti a pentirsi amaramente di scelte affrettate, abbagliati dalle lusinghe di un facile guadagno…

Alcuni ci hanno visto un ottimo strumento per fare speculazione! Molti investitori hanno quindi acquistato suoli su cui installare impianti fotovoltaici, oppure “parchi fotovoltaici” già realizzati, altri hanno preso progetti di impianti il cui iter autorizzatorio era ancora in corso o appena ultimato.

Ce n’era, insomma, per tutti i gusti ma, in assenza di un certo (e autorevole) dettato normativo, ha regnato per anni il più totale caos.

Nel frattempo, per riempire il vuoto normativo, molte regioni e comuni hanno emanato ognuno le proprie “regole” in materia di localizzazione di impianti energetici rinnovabili, cosa che ha reso ancora più incerto l’esito degli iter di autorizzazione, determinando quel che da molti è stato definito come un “far west normativo”: regole anche profondamente diverse non solo da regione a regione, ma anche da comune a comune… Insomma, un vero e proprio “inquinamento legislativo“!

Peraltro, a questa situazione si sono aggiunte le valutazioni controverse delle Sovrintendenze per la tutela del paesaggio, e le rivendicazioni di associazioni ambientaliste e di gruppi di cittadini contrari a vario titolo all’occupazione di suolo a fini energetici.

In particolare, gli enti locali hanno spesso indicato esplicitamente le zone di territorio di propria pertinenza destinabili ad impianti energetici, oppure hanno indicato criteri molto restrittivi per l’individuazione dei terreni adatti, esercitando in maniera distorta la propria competenza. Per fare solo un esempio, le Regioni possono solo determinare le zone nelle quali non possono essere installati gli impianti, e non viceversa. Hanno cioè un potere “in negativo”e non in positivo.

Forti del fatto che le norme nazionali non avevano posto nessun limite alla concentrazione di impianti energetici in determinate porzioni di territorio, poi, gli investitori hanno avuto la possibilità di installare gruppi di impianti di media potenza in territori contigui, giovandosi dei singoli iter semplificati, e sottraendo sempre più vaste porzioni di suolo a qualsiasi altro genere di attività.

Interi paesaggi hanno cambiato aspetto nel giro di pochissimo tempo. Il fenomeno ha toccato per prime le regioni del sud Italia, dove le ore annue di irraggiamento garantiscono produzioni energetiche elevate, e poi via via le altre regioni.

Fra gli effetti negativi del vuoto normativo devono essere considerati anche l’allungamento eccessivo dei tempi di durata degli iter burocratici – spesso poi conclusisi in modo negativo per chi li aveva presentati – così da costringere privati ed imprese ad inutili attese, o ad aggravi procedurali, che a loro volta si sono tradotti in dispendiosi “investimenti”.

Si arriva così al Quarto Conto Energia (che ha sostituito il terzo dopo solo pochi mesi dalla sua entrata in vigore) ha notevolmente abbassato gli incentivi statali per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica, complice soprattutto l’abbassamento dei costi legati ai componenti impiantistici.

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Nel frattempo, le Linee Guida nazionali – emanate finalmente nel settembre 2010 – hanno reso più complessa l’installazione degli impianti su suoli agricoli. Il business si è spostato, allora, sull’installazione del fotovoltaico sui tetti dei capannoni, industriali e non: ampie superfici sulle quali sistemare impianti di media potenza con procedure autorizzatorie semplificate.

Insomma, sia pure per successive approssimazioni, il sistema ha raggiunto un certo livello di maturità, in grado di coniugare diverse sostenibilità: ambientale,ed energetico-economica.

Invece, per la sostenibilità culturale (quella che dovrebbe arrivare per prima e spingere la crescita, migliorando tutte le altre sostenibilità connesse sociali, finanziarie, giuridiche…) occorrerà, credo, aspettare ancora un po’. Almeno fino a quando tutti capiranno che il business è giusto e non deve essere demonizzato, che lo Stato deve aiutare, certo, ma tutti devono rispettare le regole e i limiti normativi, che sono necessari per garantire un complessivo equilibrio.

E a fronte di uno Stato autorevole – tutti lo invocano – i cittadini e le imprese responsabili facciano eco.

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KennyG