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Inchiostro di silicio: innovazione decisiva per il fotovoltaico?

Il protocollo internazionale di Kyoto, sottoscritto nel 1997 da oltre 160 paesi del mondo ed entrato in vigore a partire dal 2005, impone ai governi di limitare la dipendenza dalle fonti energetiche non rinnovabili, con lo scopo di ridurre, entro il 2012, la produzione di anidride carbonica di almeno un quinto rispetto ai valori attuali. Per raggiungere questo ambizioso ma necessario obiettivo, c’è una sola possibilità: aumentare la quota di energia derivante da fonti rinnovabili, grazie a tecnologie come quella fotovoltaica, che consente di trasformare direttamente la luce solare in energia elettrica senza necessità di meccanismi in movimento. Essa, infatti, sfrutta le proprietà di alcuni materiali detti ‘semiconduttori’, come, ad esempio, il silicio, che sono in grado di generare elettricità quando vengono colpiti dalla radiazione solare.

Inchiostro di silicio: innovazione decisiva per il fotovoltaico?

Dopo l’ossigeno, il silicio, è l’elemento più diffuso sulla crosta terrestre (28%). Allo stato puro, esso presenta una struttura cristallina, simile a quella del diamante: attraverso specifici processi di lavorazione, si giunge ad ottenere il silicio cosiddetto metallurgico, quello appunto usato per celle fotovoltaiche, che nasce in realtà come scarto del silicio cosiddetto elettronico, considerato più prezioso perché utilizzato per i microcircuiti dei pc.
Ogni cellula solare tradizionale è costituita da due strati di silicio a differente potenziale elettrico, ottenuto attraverso la diffusione controllata, nei  forni, di atomi di fosforo e di atomi di boro sui due strati opposti della stessa cellula fotovoltaica: i primi creano carenza di elettroni (da cui si ottiene il silicio ‘p’), mentre i secondi creano esubero di elettroni (da cui si ottiene il silicio n). Nella giunzione tra i due strati di silicio, per effetto dell’esposizione alla luce solare, le cariche elettriche tendono a separarsi, creando appunto la circolazione di corrente elettrica tra le due facce della cellula, ossia tra i due poli (n e p) della cella.

Il silicio, dunque, è sostanzialmente una “macchina” in grado di produrre energia ma presenta due grossi limiti: da una parte i costi, senz’altro a tutt’oggi ancora proibitivi, e quindi assolutamente non concorrenziali rispetto a quelli dei combustibili fossili, e dall’altra il rendimento, poiché il sistema ha perdite di efficienza ancora piuttosto rilevanti.

L’inchiostro di silicio sembrerebbe l’ultimo traguardo della tecnologia d’ambito fotovoltaico forse davvero in grado di aggirare lo spinoso problema dei costi e dei rendimenti: in termini semplici, grazie all’utilizzo di questo tipo “inchiostri” a nano-particelle di silicio (di dimensioni comprese tra i 5 e 10 nanometri, ossia… 10.000 volte più sottili di un capello!),  le celle solari possono essere prodotte più a buon mercato poiché sono, in sostanza, ‘stampate’ o, addirittura, in un futuro non troppo lontano, potranno essere ‘spruzzate’ a mezzo spray.

Grazie alla semplificazione e alla velocizzazione dei processi produttivi di queste vernici solari, stese in sottilissimi film grazie a comuni stampanti industriali e poi ricoperte da lastre di vetro, ci si auspica una riduzione fino ad un decimo del prezzo attuale delle celle fotovoltaiche, oltre che un significativo miglioramento delle prestazioni di efficienza, dall’attuale 15% ad un ambizioso 20%.

Ovviamente, la frontiera della ricerca scientifica e tecnologica è in continua espansione, nell’ottica di un miglioramento costante: alcune aziende produttrici hanno già voltato pagina rispetto all’utilizzo delle vernici solari al silicio, battendo, se non altro in fase ancora sperimentale, altre possibili strade.

Obiettivo comune e condiviso, in ogni caso, la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica eco-compatibili, alla portata di tutti, come in effetti lo è il sole!, efficienti, durevoli e, perché no, anche meno invasivi, in termini di ingombro, e, dunque, esteticamente gradevoli.

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