L‘inquinamento elettromagnetico è un fenomeno figlio del progresso tecnologico e causato dalle onde radio emesse dai campi elettromagnetici: approfondiamo questa tipologia di inquinamento e vediamo come difenderci.
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Ovunque si trasformi, trasporti e utilizzi l’elettricità, si generano infatti dei campi elettrici e magnetici a bassa o ad alta frequenza. Ad esempio, le stazioni di telefonia mobile, i trasmettitori radiofonici e le altre applicazioni radio emettono radiazioni nello spettro delle alte frequenze.
Questo tipo di inquinamento è stato, spesso oggetto di discussione e tutt’ora sono in corso studi scientifici sugli effetti provocati dall’eccessiva esposizione alle radiazioni elettromagnetiche sull’uomo, sugli animali e sulle piante.
Ecco alcune delle evidenze sinora accertate sugli effetti dell’inquinamento elettromagnetico:
Diversi studi forniscono tuttavia indicazioni sul fatto che anche in caso di una debole esposizione alle radiazioni ci siano degli effetti biologici. Alcuni esperimenti condotti con radiazioni deboli di bassa frequenza hanno, ad esempio, riscontrato un impatto sul comportamento, sulle facoltà di apprendimento e sul sistema ormonale degli animali e sulla crescita delle piante.
Alcune anomalie sono state riscontrate analizzando le aree verdi della Lombardia, esposte ad un continuo bombardamento, aree ad altra concentrazione di antenne di ricezione base della telefonia mobile. In particolare si è notato un rallentamento della crescita dell’erba e dei cespugli di alloro e di lauro.
Per quanto riguarda il regno animale, invece, si è notato che alcuni molluschi, per esempio, assorbono con i loro indicatori di direzione le onde prodotte dai campi magnetici.
Inoltre, i piccioni possono perdere la loro abilità di navigare se vengono esposti a forti campi elettromagnetici prima di essere liberati per il volo e sembra inoltre che gli uccelli vengano confusi da campi esterni durante il volo in stormi.
Un gruppo di ricercatori americani ha trovato che il campo di 60 Hz disturba il ritmo normale della ghiandola pineale nei ratti, misurato con il rilascio della melatonina ed anche un calo della fertilità sulla prole di ratti femmina, esposte ai campi prima della gravidanza.
Altri esperimenti effettuati sui piccoli nati da maiali, esposti a dei campi di 60 Hz prima del parto, hanno rilevato un’ incidenza di malformazioni maggiore del normale.
Va detto e ribadito comunque che i valori limite internazionali imposti dagli standard normativi proteggono comunque dalle radiazioni che possono provocare tali effetti.
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Per capire in Italia quali sono i valori limite e gli Organi preposti alla sorveglianza è utile una breve panoramica. Nel nostro Paese, innanzitutto, il limite di esposizione previsto dal DPCM 199/2003 per i campi ad alta frequenza è compreso fra 20 V/m e 60 V/m a seconda della frequenza stessa.
Il valore di attenzione e l’obiettivo di qualità sono invece di soli 6 V/m, valori molto più bassi di quelli previsti in altre nazioni.
Nel caso specifico delle onde elettromagnetiche non ionizzanti, emesse ad esempio da antenne radio-televisive o da antenne di stazioni radio base di operatori telefonici, il valore di attenzione, pari a 6 V/m, è notevolmente più basso rispetto ad altri paesi europei.
Ad ulteriore garanzia dei cittadini, l’Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA) coordina campagne di misura dell’inquinamento elettromagnetico a campione in diverse località italiane o su richiesta delle autorità locali o della popolazione.
L’ARPA è anche responsabile della autorizzazione riguardo l‘installazione e la modifica degli impianti Radio-TV-Cellulari in coerenza con gli attuali standard di campo elettromagnetico previsto.
Un ulteriore stimolo alla ricerca ed al controllo dell’elettrosmog è costituito dalla Fondazione Ugo Bordoni che promuove da diversi anni delle misure di fondo elettromagnetico presso impianti televisivi e di operatori mobili in tutto il territorio italiano, pubblicando in chiaro i risultati sulle misure rilevate in un database pubblico.
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Nel 2013 fece scalpore un esperimento svolto da 5 studentesse liceali in Danimarca, volto appunto a studiare le conseguenze del cosiddetto “elettrosmog”, ossia quella forma di inquinamento elettromagnetico prodotto dalle radiazioni non ionizzate.
L’idea di intraprendere questo tipo di studio era nato dal fatto che le studentesse avevano riscontrato un vero e proprio calo del livello di attenzione a scuola, se la sera prima avevano dormito in prossimità del loro cellulare. Non disponendo delle attrezzature necessarie a svolgere esperimenti sull’uomo, le ragazze hanno deciso di analizzare gli effetti delle radiazioni sulle piante, con la speranza di capire se i tessuti biologici in generale, subivano delle conseguenze.
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Le ragazze avevano collocato sei vasi di lepidium sativum, un tipo di pianta spesso usata per studi di laboratorio, in una stanza priva di onde elettromagnetiche ed altri sei vasi in una stanza esposta alle radiazioni di due router. Per giorni avevano analizzato, misurato, pesato e fotografato le piante, giungendo a dei risultati che sbalordirebbero anche i più scettici, ossia tutti coloro che da sempre sottovalutano la questione dell’elettrosmog, definendola solo il frutto di un allarmismo ingiustificato.
Le piante poste in prossimità del router non erano cresciute e, in alcuni casi, erano addirittura morte!
Per questo esperimento le ragazze hanno ricevuto il massimo dei voti in un concorso scientifico regionale ma, soprattutto, hanno canalizzato l’attenzione degli scienziati di tutto il mondo sull’elettrosmog, un problema fin troppo sottovalutato. Successivamente, date le controversie sorte nella comunità scientifica, questo esperimento è stato replicato con successo nonostante lo scetticismo che lo circondava: forse dovremmo fare più attenzione all’inquinamento elettromagnetico nella nostra vita di tutti i giorni.
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