Il kenaf è una delle fibre naturali meno conosciute, ma dalle molteplici virtù e applicazioni anche inusuali. Si ricava dall’Hibiscus cannabinus, ed è simile alla juta. È utilizzato anche per produrre pannelli isolanti dalle performance acustiche e termiche davvero importanti.
La coltivazione è sempre più diffusa perché sempre più alta è la richiesta di materiali ecologici per l’edilizia che possano fornire un livello elevato di isolamento termico e acustico. Per questo è molto richiesta per la fabbricazione di pannelli isolanti per cappotto termico.
Impariamo adesso quali sono le particolarità della pianta e della sua coltivazione, che la rende davvero simile alla canapa, e scopriamo poi come si lavorano le fibre e le peculiarità del suo tessuto.
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L’Hibiscus cannabinus è una pianta erbacea annuale delle Malvacee, a stessa del cotone, coltivata e raccolta anche in Italia, perché ricca di fibre tessili. Il genere Hibiscus è molto diffuso ed include oltre 200 specie tra annuali e perenni.
Originario dell’Africa occidentale, dove si trovano tracce risalenti alla sua coltivazione a partire dal 4000 aC, nelle più varie specie.
In Africa non veniva utilizzata solo per le fibre ma le foglie e i fiori erano considerati commestibili, i semi usati per la produzione di olio e alcune parti della pianta utilizzate in medicina popolare.
Poi, insieme al cotone, diventa è la fibra più diffusa in alcuni paesi del mondo sub-sahariano, come il Senegal e la Nigeria.
La coltivazione è presente anche nell’Asia meridionale, fin dal 1900 aC, in Cina e India. In Europa si diffonde a partire dal XX secolo quando arriva a Londra.
Non si dimostrò grande interesse per questa pianta da fibre tessili fino al 1940 quando negli Stati Uniti si iniziò a utilizzarla come sostituta della juta. E si diffuse moltissimo, fino ad essere dichiarata nel 1960 tra le 500 specie più̀ importanti per la produzione di fibra erbacea corticale.
Oggi questa pianta tropicale viene coltivata in Tailandia, Cina e Usa, ma soprattutto negli stati USA del sud, Georgia, Texas, Misissipi e New Messico.
Anche in Giappone inizia a diffondersi questa coltivazione per la produzione di pasta da cellulosa per la realizzazione di carta ecologica.
In Europa le coltivazioni sono diffuse soprattutto nelle aree meridionalli dove il clima sembra essere adatto, soprattutto in Grecia e in Italia.
Il clima migliore per la buona riuscita di una coltivazione di kenaf è il clima tropicale e sub-tropicale, poiché è molto sensibile alle gelate e apprezza il clima caldo e umido. Viene coltivata in pianura mai oltre i 600 m, perché teme il vento e il freddo.
La pianta di kenaf viene coltivata anche in Italia soprattutto nelle Pianura Padana per la produzione di pannelli per l’isolamento termico ed acustico usati in edilizia. La semina avviene a marzo, il raccolto a novembre su piante secche.
La produzione della fibra non necessita di pesticidi e ha impatti positivi sul terreno.
Si è così creata una produzione interamente Made in Italy che produce prodotti per l’edilizia sostenibile e la bioedilizia fornendo un materiale isolante e a zero impatto ambientale.
Le fibre sono ricche di lignina, come la rafia, il ramié ed il sisal, la fibra di cocco e l’abaca. Questo le rende meno elastiche rispetto ad altre fibre vegetali destinate all’industria tessile rispetto fibre tessili di origine vegetale come seta, cotone e lana, ma idonee per l’industria della carta, cordame, tessuto ruvido e fibra tecnica per la costruzione di pannelli isolanti per l’edilizia e biocompositi.
Altri utilizzi meno comuni delle sue fibre per realizzare:
La pianta ha anche delle parti edibili e viene utilizzata anche per altro.
L’uso più diffuso ad oggi di questa fibra naturale è rivolto alla produzione di pannelli isolanti per l’edilizia e di tessuti destinati all’arredo e all’abbigliamento.
La produzione di pannelli semi-rigidi in questa fibra è l’impiego oggi più diffuso, grazie alle sue molteplici proprietà:
Per questo i pannelli in kenaf vengono impiegati in bioedilizia, al fine di isolare termicamente ed acusticamente le intercapedini di strutture in legno e applicati sulle murature, per farne un cappotto interno oppure sui muri per un cappotto esterno, ma anche per coibentare facciate ventilate, controsoffitti e solai.
Inoltre si posano facilmente, non sono troppo pesanti, si tagliano con un taglierino e non generano polvere e non si sbriciolano o sfaldano nel tempo.
Questi pannelli sono composti da fibre intrecciate e termo-fissate a cui viene aggiunta una minima parte di fibra di rinforzo in poliestere e un prodotto naturale ignifugo.
I pannelli mancano completamente di sostanze proteiche, fatto importante perché non sono appetibili per insetti o roditori.
La fibra non contiene sostanze tossiche e non presenta rischi per la salute durante la lavorazione, nemmeno nella fase di messa in opera o nell’utilizzo.
È un prodotto riconosciuto come naturale ed eco-compatibile lungo l’intero ciclo di vita e è riconosciuto dal marchio Icea per la certificazione per la bioedilizia.
Moltissime aziende del settore edile producono oggi pannelli isolanti realizzati con fibre vegetali e quella derivata dall’ibisco è una di quelle più utilizzate.
Il prezzo varia di certo al variare dello spessore del pannello: in media 1 pannello di spessore 0,4 cm da 60×120 cm, utilizzabile come isolamento termico-acustico per intercapedini o cappotti, con resistenza al fuoco F, costa circa 16 euro.
Il tessuto grezzo che si ricava dalle fibre di questa pianta, simile alla canapa, è frutto di una lavorazione della corteccia della pianta.
Di colore giallo paglierino, viene principalmente lavorata per ottenere feltri e materassini, in rotoli di diverso spessore.
Solo il 10% della fibra viene usata nel settore tessile per produrre un filato: la parte più lunga e sottile.
Questo tessuto viene impiegato per l’abbigliamento, l’arredamento e nell’industria automobilistica.
Tutto naturale, riciclabile ed innovativo, risponde alla forte domanda di prodotti a base di fibre naturali a basso impatto ambientale.
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