La prossima ecatombe nucleare? Il caso di Mayak in Russia
La regione di Chelyabinsk in Russia è probabilmente una delle regioni meno salubri nel mondo: un importante centro industriale appena a est degli Urali, dove predomina l’industria estrattiva (carbone in primis) e metallifera, la regione di Chelyabinsk ospita anche un primario centro di riprocessamento di combustibile nucleare, il complesso di Mayak (in Russo “il faro”), che in precedenza è stato uno dei principali impianti per la produzione di uranio arricchito destinato all’industria bellica sovietica durante la Guerra Fredda.

Il complesso di Mayak è stato anche il teatro di uno dei primi incidenti nucleari della storia, noto come l‘incidente di Khystim, in seguito al tentativo del regime sovietico di attribuire l’incidente ad una centrale elettrica tradizionale nelle vicinanze, avvenuto nel 1957. In quell’occasione, un’esplosione di un serbatoio di stoccaggio a Mayak causò la fuoriuscita di 300 tonnellate di combustibile radioattivo nell’area circostante: oltre a 200 morti per l’esposizione a fortissime radiazioni, circa 10,000 persone furono permanentemente evacuate e quasi mezzo milione di persone fu esposto ad alti livelli di radioattività.
Il libro degli orrori di Mayak, però, non si ferma qui: si stima che per anni, tonnellate di combustibile radioattivo furono sversati nel vicino fiume Techa.
L’eredità di questi inquietanti precedenti sono un suolo altamente radioattivo ed un poco invidiabile record nazionale di malformazioni alla nascita e tassi di tumori.
Attualmente Mayak è il principale polo di riprocessamento delle scorie nucleari della Federazione Russa (qui vengono spedite anche scorie di altri paesi, Cina, Corea del Sud, Germania, Spagna, Francia, Svizzera ed altri, nell’ambito di un non certo limpido processo di dumping dei veleni nucleari mondiali).
La storia recente di Mayak è piena di catastrofi sventate o sfiorate: nel 1994, un incendio causò la fuga di gas radioattivi e nel 2003 la perdita nell’ambiente circostanze di una quantità non precisata di liquidi radioattivi costà alla centrale la temporanea revoca della licenza.
L’anno scorso, infine, l’ondata di incendi che ha sconvolto la Federazione Russa in una delle estati di siccità più prolungata del secolo ha fatto nuovamente scattare l’allarme a Mayak e dintorni.
In quell’occasione, la Russia non disdegnò nemmeno l’aiuto degli Stati Uniti che mandarono due c130 dell’US Air Force in appoggio per risolvere la crisi.
Oggi, però, Mayak torna sotto la lente per un fatto di cui si sta parlando molto sui media russi (per esempio sulla popolare Komsomolskaya Pravda): la denuncia di un gruppo di lavoratori della centrale di Mayak, che hanno spedito ai giornali della regione di Chelyabinsk una lettera di denuncia, dove si dice in sostanza che gli standard di sicurezza sono assai carenti e che addirittura per i sistemi di raffreddamento di un reattore nucleare a Mayak sarebbero stati usati tubi cinesi contraffatti, non conformi alle norme federali.
Notizie di irregolarità nella gestione operativa e negli appalti a Mayak sono di routine negli ultimi anni e diversi blogger ne parlano in Russia, ma cosa succeda veramente e quale sia la situazione di fatto a Mayak, in mancanza di un organismo di monitoraggio indipendente che abbia accesso all’area, nessuno è in grado di dirlo. Se questa lettera dica il vero, nonostante le smentite della Rosatom, l’Agenzia Atomica Russa, o se rappresenti qualche manovra di disturbo di un businessman di dubbia etica tagliato fuori dall’enorme torta di appalti a Mayak, è impossibile saperlo.
Quel che è certo è che il Cremlino, unico governo europeo a non avere disposto stress test sulle sue centrali dopo la tragedia di Fukushima, fa orecchie da mercante e non si mostra preoccupato circa la possibilità di un incidente grave in questo vero e proprio cimitero atomico che è Mayak.
Speriamo di essere smentiti, ma il prossimo allarme rosso atomico potrebbe venire da questa regione, che ha già pagato amaramente la superbia dell’uomo.