Dal “giorno della rivelazione“, la rivelazione dell’olio di palma, datata 13 dicembre 2014 (che è quando è entrato in vigore il Reg. CE 1169/2011, che ha obbligato i produttori di alimenti a indicare l’utilizzo, tra le altre cose, anche di questo prodotto), nominare l’olio di palma equivale grossomodo a nominare il diavolo.
Oggi tutti ce l’hanno con l’olio di palma, per i suoi danni ambientali, per i rischi per la salute, per le emissioni di CO2 e via dicendo: una posizione spesso giustificata, ma estremizzata dal fatto che la mente umana tende a vedere un po’ troppo le cose come bianche o come nere. Senza il grigio.
Per saperne di più sull’olio di palma: leggi la nostra guida all’olio di Palma
In realtà, l’olio di palma non è un prodotto nato lo scorso anno, ma una cosa naturale conosciuta da molto tempo: i grandi danni che provoca dipendono fondamentalmente dalle colture intensive delle multinazionali, che cercano in ogni modo di aumentare i loro profitti, ma nel mondo esiste anche un olio di palma buono: sempre quello è, ovviamente, ma i danni si riducono e il prodotto può essere più salutare del solito. Vediamo perché.
La palma da olio è una pianta, come tutte, che si è creata tramite un’evoluzione durata secoli, e che l’Uomo ha imparato ad utilizzare per estrarne una sostanza che ritiene utile.
Come per tutte le piante, ci possono essere delle coltivazioni piccole e familiari così come coltivazioni intensive e ad alta resa, come lo è del resto l’agricoltura ‘industriale’ dei Paesi occidentali.
Semplicemente le piantagioni più grandi si trovano nel Sud-Est asiatico, dove le multinazionali hanno avviato una grande deforestazione per far spazio alle palme. Invece in altre zone, come il Sudamerica, questa coltivazione non è così diffusa e rimane in mano a piccoli agricoltori che, nelle loro aziende, producono e raccolgono i frutti della palma su una scala decisamente familiare, e quindi con un minore impatto sull’ambiente.
Queste coltivazioni non creano danni all’ambiente, così come non hanno bisogno di pesticidi o di concimi per far crescere le palme in fretta: qui il ritmo è più lento, più pacato, e la produzione dell’olio rispetta pertanto l’ambiente.
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Ma come farebbero questi agricoltori a competere con le multinazionali?
Visto che non possono lavorare sul prezzo e sulla quantità, cercano di farlo offrendo un prodotto qualitativamente migliore. Ottengono quindi certificazioni, come quelle ambientali e quelle biologiche, per un prodotto con gli stessi benefici degli altri.
Un alimento biologico non utilizza i pesticidi e concimi e, sebbene i concimi non siano particolarmente utili per gli alberi (lo sono per le piante più piccole) i pesticidi vengono largamente utilizzati. In queste piantagioni bio invece non sono presenti, per cui non vengono assorbiti dall’olio che, di conseguenza, avrà meno residui. L’assenza dei residui, a sua volta, fa sì che questo l‘olio prodotto da queste palme sia migliore dal punto di vista degli agenti tossici che si accumulano nel nostro organismo, proprio come succede con la frutta e la verdura biologica.
Dal punto di vista, invece, dei danni per l’organismo le cose sono un po’ diverse. Il processo di idrolisi, che rende l’olio solido ed utilizzabile per le preparazioni culinarie, purtroppo fa danni alla salute che non si possono eliminare, e il problema degli acidi grassi saturi esiste sia con l’olio sostenibile che con quello che non lo è.
Il problema dei pesticidi e dei loro residui, in questo modo viene eliminato: il prodotto finale non è comunque un toccasana, ma almeno non mangiamo sostanze chimiche, ed è già qualcosa.
Il problema è quello di capire quali prodotti utilizzano questo olio sostenibile, perché sulle confezioni si scrive che l’olio di palma è nella lista degli ingredienti, ma non da dove viene o se sia biologico o meno.
Se però non si fa uno sforzo per comunicare ai consumatori che esiste comunque un olio di palma più sostenibile e biologico, e che pur non eliminando i problemi legati al colesterolo, riduce il suo impatto sulla deforestazione e non contiene residui di sostanze chimiche, ecco che si perde un’occasione. Perché si permette la demonizzazione in toto di tutti i produttori e si boicottano tutti i prodotti che contengono olio di palma, costringendo magari le aziende a cercare sostituti più dannosi, pur di comprimere i costi e massimizzare i profitti.
Ed è chiaro che le multinazionali non vogliono farci sapere che lavorano “male” e che c’è qualcuno che lavora bene, ma almeno i buoni, in questo senso, dovrebbero fare qualche sforzo in più, magari con l’aiuto di qualche consorzio o associazione.
Visto che sono persone oneste, che non rovinano l’ambiente e che non pensano solo al profitto.
Immagini via shutterstock.
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