La marea nera nel Golfo del Messico è arrivata in questi giorni sulle spiagge del Texas, l’ultimo tratto di costa statunitense affaciato sul Golfo del Messico ad essere toccato dalla marea nera, dopo avere contaminato le coste e le acque interne di Lousiana, Alabama e Florida.
La guardia costiera di Texas City e Galveston ha segnalato la presenza di palline di catrame sulla spiaggia ed un’analisi delle stesse ha confermato la provenienza dal disastro ecologico causato dall’incidente della Deepwater Horizon.
Chiaramente il livello di inquinamento è ancora molto inferiore a quello di Louisiana ed Alabama in particolare, ma è destinato ad aumentare nei prossimi giorni: l’imminente stagione degli uragani non faciliterà certo la situazione ed il pozzo della BP continua a disperdere greggio a due mesi e mezzo dall’incidente.
E ora? In attesa che entri in funzione la “balena”, la speciale nave aspira-petrolio, che non ha ancora passato i test richiesti dalle autorità statunitensi, che a regime potrebbe aspirare fino a mezzo milione di barili al giorno separando il greggio dall’acqua, ci si chiede se la famigerata BP ed il governo U.S.A. abbiamo il famoso piano B qualora anche questa mossa fallisse.
Il disastro del Golfo del Messico è il più grande disastro ambientale nella storia degli U.S.A., superando di gran lunga quello dell’89, allorché la petroliera Exxon Valdez contaminò 1,300 miglia di coste in Alaska. Esperti stimano che le proporzioni del disastro del Golfo del Messico siano di sei volte maggiori rispetto a quelle della Exxon Valdez.
Le conseguenze del disastro a 21 anni di distanza sono ancora visibili: il petrolio si trova ancora disperso in diversi tratti e l’ecosistema è stato alterato in maniera permanente, con diverse specie di pesci scomparse e sostanze tossiche entrate nella catena alimentare.
Probabilmente ci vorranno vent’anni anche nel caso del disastro del Golfo del Messico per pesare le vere conseguenze della tragedia.
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