Marea nera: le cifre finali del disastro del Golfo del Messico
La scorsa settimana commentavamo non senza un certa dose di esasperazione le evidenze di uno studio della National Oceanic and Atmospheric Administration, che confutava la tesi secondo cui la marea nera nel Golfo del Messico sarebbe “sparita”, riassorbita in qualche modo dalla natura.

Ebbene, proprio due giorni fa, nelle stesse acque costiere in Mississippi, Alabama e Florida, le stesse acque che il presidente Obama ha invitato i villeggianti americani a non abbandonare la scorsa estate, una equipe del Governo Federale U.S.A. munita di palette e strumenti per lo snorkeling ha confermato che anche nelle acque basse, poco sotto il livello della sabbia, si ritrovano praticamente ovunque tracce di petrolio.
Conferma in un certo senso pleonastica per i bagnanti, che hanno spesso avvistato filamenti di greggio bruciato nelle onde che si infrangono sulle spiagge di questi tre stati.
E proprio la settimana dopo che il famigerato pozzo di Macondo è stato definitivamente sigillato da BP, ecco che la rivista Science pubblica i risultati del primo studio indipendente sulla portata del disastro della marea nera del Golfo del Messico: è stato calcolato che in totale sono stati riversati in mare 4,4 milioni di barili di greggio, un valore vicino a quello indicato da una recente commissione governativa.
Avvalendosi di una recente tecnica per analizzare i video subacquei del camino del pozzo, è stato infatti calcolato che sono stati circa 60.000 i barili di petrolio giornalieri fuoriusciti fino alla installazione del primo “tappo”, lo scorso 15 luglio.
Deepwater Horizon si conferma essere il più grave incidente di fuoriuscita di greggio mai verificatosi nella storia.
Quello che ora nessuno è in grado di dire è quali saranno le reali conseguenze per l’ambiente di questo disastro insensato.