Su questo non mi stancherò mai di ripetermi: i costi, quelli veri, del nucleare, compreso impatto su ambiente e generazioni future (es. dice niente il tema di stoccaggio delle scorie radioattive?) non li sa nessuno.
Se ci limitiamo ai costi di realizzazione, allora qualche stima più attendibile può essere fatta, ma forse nel caso del nucleare italiano nemmeno tanto.
E se a dirsi preoccupato è il quotidiano della Confindustria, il Sole24Ore, che evidenzia come costi e tempi del nucleare italiano siano fortemente condizionati dall’incertezza, allora credo che le argomentazioni come le mie, contro il nucleare in Italia, non possano certo essere bollate come ideologiche.
Si leggeva sul Sole24Ore dell’8 Settembre: “L’energia atomica come quella progettata per il “rinascimento nucleare” in Italia chiede investimenti decisamente impegnativi, non meno di 5 miliardi per ogni reattore, in cambio di uno sconto sui costi di produzione dell’elettricità capace di regalare a lungo termine un vantaggio che appare in via teorica piuttosto significativo. Ma ci sono due variabili che, accanto ai parametri finanziari del capitale necessario, possono spostare molto la soglia di convenienza per un programma atomico che partisse da zero. Le variabili determinanti sono i tempi (la costruzione e la messa in marcia) e i prezzi del mercato elettrico quando la centrale futura potrà davvero andare a tutto vapore: le tecnologia concorrenti potrebbero essere più competitive. Commento unanime di tutti gli esperti: il vero nemico dell’energia nucleare è l’incertezza. La politica ondivaga italiana è più dannosa sui costi e sull’efficacia di un programma atomico più di tutti i ribellismi antinucleari“.
Un tema, quello dei tempi e dell’incertezza che è il vero leit motiv di un interessante studio,
“New Nuclear, The Economics Say No” di Citi Investment Research & Analysis (Citigroup) (qui link al pdf dello studio) che, pur pubblicato quasi un anno fa, rimane attualissimo per gli scenari disegnati.
Senza contare che alcune perplessità sull’atomo aggiuntive vengono dalla sua dubbia neutralità in termini di emissioni di C02 (le emissioni di CO2 di un impianto nucleare non sono affatto zero, ma circa il 30% di una centrale a gas) e dal fatto che l’uranio a tendere sarà insufficiente per venire incontro alla domanda delle centrali.
Ma il punto vero secondo me è un altro: è giustificabile investire così tanto su progetti così a lungo termine ben sapendo che alla consegna – che comunque può slittare e spesso slitta con enormi costi come successo di recente in Finlandia – la tecnologia potrebbe essere obsoleta e portarsi dietro costi, diretti e indiretti, esponenzialmente superiori a quanto previsto?
Chi pagherà allora il conto, sempre le generazioni future?
Sarebbe il caso, per una volta nella storia dell’umanità, di imparare da errori passati.
Utilizziamo i cookie insieme ai nostri partner per personalizzare i contenuti e gli annunci pubblicitari, fornire le funzioni dei social media e analizzare il nostro traffico.