Mentre in Italia e nel mondo i politici e le platee si scaldano intorno al futuro del nucleare, c’è qualcosa più forte e temibile delle parole che fa temere per il presente e per il futuro. Si tratta delle centrali che ancor oggi funzionano secondo tecnologie obsolete e parametri di sicurezza inadeguati.
Una “selva” di Fukushima che proprio come in Giappone sono particolarmente esposte agli agenti naturali, e preannunciano seri rischi di catastrofe.
Un esempio lo offre Metsamor, reattore incastonato nella minuscola Armenia, tra le montagne del Caucaso meridionale. Qui, al confine tra il continente europeo e quello asiatico, nel 1976 i sovietici deciso di erigere una struttura da 400 MW, a soli 30 km dalla capitale Erevan.
Progettata per restare in vita fino al 2001, Metsamor in realtà è attiva tutt’ora e tale rimarrà fino al 2017, per un motivo molto semplice: da sola fornisce il 40% dell’elettricità di tutto lo Stato, in barba ai rischi di un suolo che trema, spesso e in modo violento.
In molti, qui, ricordano il sisma devastante che nel 1988 provocò 50mila vittime, e indusse a chiudere precauzionalmente la centrale. Ma poi la crisi economica e la carenza di energia hanno costretto l’Armenia indipendente a riavviare le turbine – che sorgono proprio su una linea di faglia – solo cinque anni più tardi.
Da allora non hanno più smesso di funzionare, nonostante le ripetute strette di mano e gli accordi tra Armenia e Ue.
Metsamor oggi si presenta come una bomba ad orologeria, destinata ad esplodere al primo scossone del terreno. Gli armeni, ma soprattutto i vicini turchi, azeri e georgiani, temono per il futuro delle loro famiglie. Ricerche condotte nel sud-est dell’Anatolia hanno inoltre evidenziano il proliferare di malattie sospette negli animali e negli uomini, una forte incidenza di tumori e malformazioni nei bambini, molti dei quali morti già alla nascita.
A complicare la situazione provvede il delicato scacchiere geopolitico della regione. L’Armenia, protetta dai russi, vive in una situazione di isolamento: i rapporti con Turchia e Azerbaigian sono ai minimi termini, Mosca svolge un ruolo di protettorato ma non ha alcun interesse a chiedere i sigilli per Metsamor.
E intanto, in questo stallo, si trascina una situazione vicina al collasso. Basta un moto tellurico perché una nube di veleno e radiazioni si diffonda in due continenti.
Le sirene di un’altra Chernobyl sono dietro l’angolo.
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