In questo tempo di crisi, riscaldare le nostre case in modo più ecologico e conveniente può diventare una priorità assoluta. Si può capire, così, la sempre maggior diffusione delle stufe che utilizzano il pellet come combustibile, garantendo qualità, risparmio e rispetto dell’ambiente.

Ad oggi, sono in funzione in Italia circa 1,7 milioni di tali impianti, oltre a 50-60mila caldaie ad uso domestico. Un mercato in costante espansione, come rilevato dall’Associazione italiana energie agroforestali (Aiel), secondo la quale i dati di vendita del primo semestre del 2013 superano del 30% quelli dello stesso periodo dello scorso anno. Unica nota stonata: l’aumento dei prezzi del combustibile. Il carovita non risparmia proprio nessuno, così che il costo di un sacco di pellet da 15 Kg, attestatosi nel 2012 ad una media oscillante tra i 3,6 e i 4 euro, è salito quest’anno a 4,8-5,5 euro.

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Questo rincaro non compromette però la convenienza di una stufa a pellet. Garantita, tra l’altro, dalle varie forme di incentivazione a cui può ricorrere il consumatore. Le più diffuse restano le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, fissate attualmente al 50% e valevoli anche per l’acquisto ex-novo.

Il vantaggio consiste nella possibilità di ottenere il rimborso di una percentuale di spesa, sottoforma di detrazione Irpef. Un’altra forma di agevolazione è rappresentata dal conto termico, che riguarda unicamente la sostituzione di impianti già installati e si sostanzia con un contributo erogato in due anni, variabile a seconda della potenza installata e dell’area climatica in questione. Più complessa è invece la detrazione fiscale del 65%, prevista solamente nei casi di coibentazione dell’involucro e sostituzione dei serramenti.

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Confrontando il pellet con gli altri combustibili, salta facilmente all’occhio la possibilità di risparmio. Secondo i dati forniti dall’Aiel, in base ai prezzi aggiornati, il pellet in sacchi da 15 kg costa 72 euro a megawatt ora (Mvh), rispetto, ad esempio, agli 86 del metano, ai 145 del gasolio da riscaldamento ed ai 239 del GPL.

Resta da capire, però, come scegliere il pellet migliore. Prima di tutto, è largamente consigliato l’acquisto di prodotti certificati. Esistono vari tipi di certificazioni: la tedesca Din e Din plus; l’austriaca ÖNORM M7135; la svizzera SN 166000 e, infine, quella più diffusa a livello internazionale, l’EN plus. Quest’ultima è largamente preferibile poiché prende in considerazione non solo la qualità del prodotto, ma anche la tracciabilità e il ciclo di vita del pellet. Il marchio europeo EN plus divide poi i prodotti in tre categorie: A1, per i più pregiati; A2, di qualità media, e B, per i più scadenti, destinati unicamente agli usi industriali.

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Diffidate comunque dai prodotti che recano semplicemente il marchio EN plus, perché, per aver la sicurezza che il prodotto sia veramente certificato, tale dicitura deve esser accompagnata da un numero identificativo dell’azienda (le cifre da 0 a 299 indicano i produttori, mentre quelle da 300 in poi si riferiscono agli importatori) e da due lettere che simboleggiano il Paese di provenienza (ad esempio IT per Italia).

Gran parte del pellet in commercio – circa l’80%  – non risulta certificato, anche perché importato dall’estero. Nella maggioranza dei casi, infatti, questo combustibile proviene dall’Europa e, più facilmente, dai Paesi dell’Est, anche se non mancano i sacchi che giungono dagli Usa, dal Canada e perfino dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. Nel’assenza di segnalazione del marchio di certificazione, controllate almeno che siano riportate le indicazioni in merito al produttore o all’azienda responsabile della commercializzazione.

Se vi chiedete come mai il colore del pellet appaia spesso diverso, più chiaro o più scuro, sappiate che tali caratteristiche non hanno nulla a che vedere con la qualità, perché il colore più scuro, ad esempio, dipende unicamente dal processo di essiccazione, in questo caso effettuato a tamburo, con una leggera tostatura che conferisce tale aspetto.

Stesso discorso vale per il tipo di materia prima. L’unica cosa importante è che il pellet sia fatto con legno vergine, sottoposto a trattamento di tipo meccanico. Bando, dunque, agli scarti di falegnameria, mentre per quel che riguarda le specie legnose, fermo restando la preferenza per faggio e abete, bisogna considerare che vi sono specie più difficili, anche se quest’ultime, ad esempio il castagno o la quercia, vengono sempre mischiate ad altre per la produzione del pellet.

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Tra i parametri riportati nella confezione, il contenuto idrico, il potere calorifico e il residuo di ceneri, quest’ultimo è sicuramente il più importante. Il pellet certificato A1 deve avere un valore inferiore allo 0,7%, mentre quello A2 non deve superare la soglia dell’1,5%. Tutti i prodotti con residui inferiori allo 0,7% sono dunque di ottima qualità, mentre il mantenimento entro l’1,5% garantisce affidabilità.

Ultimo accorgimento: occhio a cosa succede nel vostro sacco. Se in fondo a questo trovate sbriciolature o un eccesso di residui, allora vorrà dire che il vostro prodotto è di scarsa qualità e ha subito troppi spostamenti. Se il vostro pellet si presenta invece compatto, complimenti per aver azzeccato l’acquisto.

INFINE, ECCO ALCUNI CONSIGLI SUL RISPARMIO ENERGETICO DOMESTICO:

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Published by
Marco Grilli

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