Pericolo petrolio: in Basilicata aumentano i morti
L’Italia è un Paese che paga pesantemente la propria dipendenza energetica dall’estero, la quale ovviamente si riversa sulle nostre bollette. Tale dipendenza energetica è legata a tre fattori: 1) Il no alle centrali nucleari, le quali, in un Paese come il nostro, altamente sismico e molto negligente in sede di lavori pubblici, sono un pericolo da evitare e per fortuna dopo il refetrendum il rischio è scongiurato; 2) La guerra in Libia, la quale ci ha privato (a torto o a ragione) dei favori di uno dei principali Paesi produttori mondiali di Petrolio, con il quale avevamo accordi commerciali; 3) Lo scarso investimento nelle energie rinnovabili.

Eppure il Governo ha individuato chi ci salverà dai rincari: la Regione Basilicata. Il Ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, intervenuto all‘assemblea dell’Unione petrolieri, ha dichiarato: «Ci attendiamo un significativo contributo delle produzioni nazionali di idrocarburi già a partire da quest’anno. Sviluppi attesi in Basilicata dove la produzione aumenterà di oltre 90mila barili al giorno per arrivare al 7% dei consumi nazionali».
Romani ha chiarito anche che ora si punterà pure a un aumento delle produzioni di gas nell’offshore italiano dove il paese «vanta un primato mondiale in termini di sicurezza e dove c’è la possibilità di incrementare le nostre produzioni di gas, oggi di 7 miliardi di metri cubi l’anno, di ulteriori tre miliardi».
E indovinate qual è la Regione che detiene la maggiore capacità estrattiva di gas? Ancora lei, la Basilicata.
Un Texas all’italiana, come vi abbiamo raccontato in un precedente articolo (Basilicata e Petrolio, una lunga storia ma non a lieto fine): questo è dunque diventata da circa 15 anni la regione lucana, sebbene l’individuazione dei giacimenti risalga alla fine degli anni ‘80. Una storia relativamente breve ma intensa.
I petrolieri gestiscono il 70% del sottosuolo della Regione, lasciando però all’economia locale appena il 7% dei loro guadagni. Un’autentica briciola rispetto al miliardo e 560 milioni di euro guadagnati, in media, da Eni e Shell in un anno di attività .
La maggior parte delle trivellazioni si concentra in un fazzoletto di terra di pochi chilometri quadrati nella Val d’Agri: è Parco Nazionale dal 2007, ma gli interessi dei petrolieri hanno vinto su tutto e i pozzi aumentano. Due mesi fa ne è stato fermato uno che sarebbe dovuto sorgere a 1.400 metri di altitudine, in pieno Parco: la Regione sta contrattandone i diritti con l’Eni. Ormai i confini del Parco nazionale vengono modificati in base alle esigenze delle lobby petrolifere.
Ed ecco che acqua e petrolio si mischiano nei ruscelli di Val d’Agri. Tra Monte Enoc e il paese di Tramutola scorre un torrente giallastro con le rive nere e unte, attraversato dai tubi metallici dell’oleodotto. Portano il greggio alla raffineria di Viggiano, dove la torcia del metano brucia giorno e notte i fumi di scarico dell’impianto. Qui si estrae petrolio pari al 6% del fabbisogno italiano di carburante: gli esperti dell’Eni dicono di poter arrivare al 10%, circa 100mila barili al giorno.
A farne le spese, oltre all’ecosistema, ovviamente anche le persone che respirano quotidianamente un’aria densa di zolfo, anidride carbonica e metalli pesanti. Per non parlare dell’acqua che bevono, il numero dei casi di malattie infettive e respiratorie cresce costantemente, e già oggi supera del doppio la media nazionale.
Eppure non lo si scopre adesso: già nel 1998 i medici segnalarono l‘incremento di decessi e casi di tumore ai polmoni nella zona. Nel biennio ’96-’98 si registrò un numero di casi di malattie respiratorie e infiammatorie con una percentuale due volte superiore alla media degli abitanti del resto della Regione.
Eppure su una notizia così grave è calato il silenzio totale. Del resto a farne le spese sono due paesini che insieme non contano più di 3000 abitanti, e la posta in palio è troppo alta.
Ma per fortuna, nel nostro Paese non tutta la politica è sorda e cieca. Una delegazione dei Radicali, composta dal segretario Mario Staderini, dalla deputata Elisabetta Zamparutti e dal segretario dei radicali lucani Maurizio Bolognetti, ha consegnato all’ufficio di Gabinetto del Ministro Fazio un video-documentario che prova e denuncia i problemi della zona. Il titolo, amaramente ironico, dice tutto: “la Valle dell’Agip” con dati allarmanti – tra l’altro fermi al ’98, che lasciano presagire che oggi siano anche più gravi. La richiesta è semplice: vigilate.
Marco Staderini ricorda infatti che, nonostante in tutta la Basilicata si registra una crescita dell’incidenza di malattie tumorali pari a nessun’altra regione italiana, «è dal 2000 che la Regione non effettua uno studio epidemiologico. Chiediamo al Ministro di non nascondere la testa sotto la sabbia e di supplire a questa mancanza».
Non ha dubbi a riguardo neanche la deputata Elisabetta Zamparutti «dal caso Basilicata emerge l’esigenza di un piano nazionale per la qualità dell’aria che non è mai stato realizzato, per questo siamo sotto infrazione comunitaria».
Insomma, l’istanza è semplice e giusta: istituire una Commissione di monitoraggio che vegli sulla Basilicata spremuta come un limone. Il cui succo, di colore nero e nocivo, sta da anni uccidendo silenziosamente persone.