Sarà capitato a tutti, dopo un bel bagno in mare, di uscire dall’acqua e trovarsi appiccicate alle gambe delle fastidiose alghe. Oppure di notarle, disprezzandole, lungo la battigia. Ebbene, queste che, sbagliando, definiamo alghe, in realtà sono piante acquatiche e sono anche molto importanti per l’ecosistema marino, e non solo, perché svolgono funzioni di fondamentale importanza. Per questo è bene preservarne la presenza lungo le coste e i litorali delle nostre spiagge. Si tratta della Posidonia oceanica, diffusa in tutta l’area del Mediterraneo. L’accumulo delle sue foglie crea una barriera protettiva dei fondali e delle coste, proteggendoli dall’erosione, e costituisce altresì un importante habitat nonché fonte di cibo per numerosi organismi. Ma non è ancora finita: perché 1 mq di Posidonia produce, ogni giorno, 14 litri di ossigeno. Insomma, stiamo parlando di una specie dal valore ecologico notevole e, come tale, bisogna quindi fare il possibile per preservarla.
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Andiamo quindi a scoprire qualcosa di più sul suo conto: com’è fatta, dove vive e, soprattutto, perché è così tanto importante.
Che cos’è la Posidonia
Con il termine Posidonia ci si riferisce ad un genere di piante acquatiche, della famiglia delle Posidoniaceae.
La specie più diffusa e a noi più vicina è la Posidonia Oceanica che, nonostante quel che il nome può suggerire, vive nel Mare Mediterraneo, occupando un’area di circa il 3%, e costituendo una specie di fondamentale importanza per l’ecosistema marino costiero.
Nonostante in molti la scambino per un’alga, in realtà, si tratta di una vera e propria pianta, dotata di radici, foglie nastriformi piuttosto lunghe. In autunno, produce anche fiori di colore verdastro e, tra marzo e aprile, produce anche le cosiddette olive di mare.
Essendo una pianta ha radici, foglie e fiori. Ma vediamo nel dettaglio le varie parti da cui è composta.
Come si evince dal dizionario Treccani, si dice Posidonia: di piante fanerogame marine, della famiglia Posidoniacee
Si tratta di una vera e propria pianta marina, con foglie, fusto e radici. Inoltre, come qualsiasi altra pianta che vive sulla terra, produce frutti (le olive di mare) e fiori.
Il riferimento etimologico è piuttosto chiaro e palese: Posidonia deriva da Poseidone, il dio del mare nella mitologia greca.
Questo nome, attribuito alla pianta, ne sta ad evidenziare la sua estrema importanza nell’ecosistema marino.
Vive nei fondali sabbiosi o detritici, a cui aderisce attraverso i rizomi, e dove va a creare ampie praterie denominate posidonieti.
Vive solamente in acque molto limpide, ad una profondità massima di 40 metri. Ha bisogno di livelli di salinità costanti e sopporta temperature tra i 10° e i 28°.
I rizomi si decompongono molto lentamente. Per tal motivo, le matte crescono molto lentamente: circa 1 metro ogni 100 anni!
Si tratta di una pianta che riveste una importanza enorme per la vita del mare e del litorale. Nello specifico:
Attraverso il processo di fotosintesi, ogni giorno, 1 mq può generare una quantità di ossigeno pari a massimo 20 litri.
Secondo le stime, 460 ettari di praterie riescono ad assorbire fino a 1 tonnellata di CO2 ogni anno.
Prima che venisse scoperto il suo importantissimo ruolo a livello ecologico, era utilizzata per vari scopi: come isolante per tetti, lettiera per animali e per imballare oggetti fragili.
In ambito farmacologico, le sue foglie venivano anche usate per curare irritazioni e stati infiammatori. Tutt’oggi, in alcuni Paesi dell’area mediterranea serve come ingrediente per la preparazione di integratori alimentari per animali d’allevamento.
Si tratta di una pianta marina endemica del Mediterraneo. In Italia, la si trova lungo i litorali della maggior parte delle nostre regioni, anche se spesso, purtroppo, in forte regresso.
La prateria dalle dimensioni più rilevanti (15 km circa) si trova tra le isole di Ibiza e Formentera.
Fuori dall’area del Mediterraneo, sono state rilevate 8 specie di Posidonia in Australia.
Pochissimi organismi si nutrono direttamente di questa pianta marina.
Si tratta più che altro di echinodermi, come il riccio femmina Paracentrotus lividus, la salpa Sarpa e il crostaceo Idotea. Questi mangiano abitualmente le sue foglie.
La sua scomparsa rappresenterebbe una gravissima perdita a livello di ecosistema. Il suo stesso ecosistema, infatti, è fondamentale per varie specie che vi gravitano attorno.
Il grosso problema è che varie praterie sono completamente sparite da tratti di litorale delle coste italiane e, in altre zone, sono in costante regressione.
Le cause di ciò sono da ricondursi fondamentalmente ad attività umane, quali:
E oltre a tutto ciò, va anche ricordato il forte impatto dei cambiamenti climatici che sta generando importanti modifiche per quanto riguarda l’andamento delle correnti marine e atmosferiche, oltre all’alterazione di vari parametri, come temperatura, composizione del mare e salinità.
Con la direttiva n. 43/92 CEE, riguardante la “conservazione degli habitat naturali e semi-naturali e della flora e della fauna selvatiche”, la Comunità Europea considera gli ‘erbari di Posidonia’ un ecosistema prioritario.
Non a caso, questa pianta è a tutti gli effetti considerata specie protetta perché rientrante nell’allegato II alla Convenzione di Barcellona del 1995 per la protezione del Mediterraneo dall’inquinamento, ratificata in Italia con la Legge n. 175, in data 27/05/99.
A questo punto, è palese il fatto che occorre fare qualcosa per preservare l’habitat di questa pianta acquatica tanto importante. Anche perché, bisogna sempre ricordare il fatto che cresce molto lentamente (per formarsi ci impiega circa 100 anni!).
In Sardegna, dove negli ultimi anni, s’è persa una parte di praterie di dimensioni notevoli, sono in atto progetti di riforestazione marina.
Tuttavia, come sempre quando si parla di sostenibilità ed ecologia, nel nostro piccolo, ognuno di noi può fare qualcosa. Ecco alcuni esempi/raccomandazioni:
Sarà capitato a tutti di vedere la cosiddetta la pianta spiaggiata. Si tratta infatti della parte che arriva a riva, creando le banquette, tanto brutte a vedersi, ma dalla estrema utilità in quanto proteggono le spiagge dall’erosione provocata da vento e maree.
È proprio per questo motivo, dunque, che la pianta spiaggiata andrebbe lasciata lì dov’è perché rappresenta una importante risorsa per la protezione degli arenili.
Certo è che avere la spiaggia invasa non è un bel vedere, né tantomeno una grande attrattiva per i turisti. Ma, piuttosto che gettarla in discarica, la si può utilizzare come compost o materiale per realizzare manufatti secondo il principio base dell’economia circolare.
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