Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat, la raccolta differenziata in Italia ha raggiunto il 31,7% sul totale dei rifiuti prodotti, segnando un discreto +1,4% rispetto allo scorso anno. Ma andando ad analizzare le statistiche nel dettaglio, questo trend rivela un panorama fatto di luci e ombre in cui le differenze a livello regionale e macro-regionale sono ancora tante, forse troppe.
Se nel nord-est, infatti, si differenzia oltre il 47% dei rifiuti e nel nord-ovest il trend rimane costante con un ottimo 40,1%, il centro e il sud si attestano su percentuali molto più ridotte, segnando rispettivamente il 28,1% e il 21,3%.
Fanalino di coda le isole che differenziano solo per il 15%.
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In generale, però, gli Italiani stanno gradualmente scoprendo l’importanza di adottare comportamenti più virtuosi in tema di riciclo e sempre più spesso ricorrono ad energie alternative sostenibili e dal basso impatto ambientale (+114,9% della potenza media degli impianti fotovoltaici). Il primo benefico effetto di questo mutamento è tangibile nella riduzione dell’ inquinamento atmosferico che nel 2010 hanno toccato i livelli di guardia 10 giorni in meno rispetto all’anno precedente (da 54 giorni del 2009 ai 44 del 2010).
Del resto, la produzione di solidi urbani cresce di anno in anno, sia in Italia che in Europa, e l’Unione Europea è sempre più decisa a perseguire una politica ‘preventiva’ per limitare l’uso delle discariche, limitando, così, le quantità di Co2 prodotte. Le stime dei recenti rapporti stilati dall’agenzia UE per l’ambiente, infatti, prevedono che nel 2020 i cittadini europei produrranno 558 kg di rifiuti a testa l’anno (già ora nel nostro paese se ne producono 609,5 kg pro-capite) il cui riciclo è indispensabile al contenimento dell’effetto serra.
Entro il 2020, la UE si propone di bandire gradualmente il ricorso alle tradizionali discariche, il che significherebbe abbassare notevolmente le emissioni di anidride carbonica (circa 62 milioni di tonnellate) che rappresentano l’ 1,23% sul totale dei gas serra scaricati nell’aria fino al 2008. Una politica che ha conosciuto i primi risultati positivi già tra il 1995 e il 2008 con l’abbattimento di 48 milioni di tonnellate di Co2 e che punta ad incentivare il compostaggio e la produzione di energia con biogas.
Il fatto che riciclare faccia bene all’ambiente e all’uomo è senza dubbio una certezza sempre più recepita da cittadini, aziende e istituzioni politiche. Solo l’anno scorso, l’attività di recupero dei rifiuti ha prodotto 1,6 miliardi di euro di benefici che il rapporto elaborato da Conai (consorzio nazionale imballaggi) ha confermato: nel 2010 il totale delle materie prime riciclate ha raggiunto il 64,6% degli imballaggi immessi al consumo. Un dato ancora più significativo se rapportato ai risultati ottenuti nel decennio precedente (1999-2010) con 9,3 miliardi di valore eco-ambientale creato. Il riciclo, inoltre, ha evitato l’immissione nell’atmosfera di 63 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Il fatto che la cultura della raccolta differenziata sia entrata nella mentalità degli italiani non deve far distogliere l’attenzione sull’importanza cruciale del tema ‘rifiuti’. La sfida del nuovo millennio, infatti, è ridurre la quantità di scarti prodotti che, come abbiamo visto, è in costante e preoccupante aumento. Le cosiddette politiche ‘zero waste’ (zero rifiuti) nate in Nuova Zelanda, puntano ad allungare più possibile il ciclo di vita delle risorse per ‘svuotare’ le discariche e si propongono come nuovo modello da seguire in chiave ambientale. In tal senso sarà opportuno cercare di azzerare gli scarti, ridurre la quantità di beni che consumiamo quotidianamente sostituendo quelli dalla durata più breve con altri più longevi.
A complicare il compito sono soprattutto vetro, carta e imballaggi (soprattutto in plastica), scarti che riempiono quotidianamente le pattumiere delle nostre abitazioni. Ed è proprio da questi che bisognerebbe partire per liberarsi di questo ‘ingombrante’ problema.
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