Riciclare. La storia, il perchè e come funziona – seconda parte
Continuiamo con la nostra storia e il funzionamento del riciclo dei rifiuti in questa seconda e ultima puntata. Guarda qui la precedente: Riciclare. La storia, il perchè e come funziona – prima parte

Abbiamo visto come fin dall’inizio del ‘900 si sia fatta strada la necessità di una raccolta ragionata dei rifiuti urbani e industriali e come dagli anni ’70 sia diventato importante anche la loro differenziazione. Che, per avere un effettivo risparmio, deve essere efficace.
Quando si pensa alla raccolta differenziata subito ci vengono in mente i classici contenitori suddivisi per forma e colore, le campane per il vetro, i cassonetti per la carta e per la plastica. Negli ultimi anni però la situazione è cambiata e ogni paese ha cercato di individuare le strategie migliori ed economicamnete più accettabili per portare avanti con successo le operazioni di riciclo. Vediamole nel dettaglio.
Camionici per la raccolta differenziata (pickup curbside): si tratta di arrivare con camion molto simili a quelli della nettezza urbana ma dotati di vari scomparti in base ai rifiuti che raccolgono i vari rifiuti lasciati nei contenitori sul marciapiede (in inglese curbside). Generalmente ci sono degli operai predisposti alla selezione del materiale ma in alcune città viene richiesto agli stessi cittadini di occuparsi di quest’operazione, determinando in molti casi un calo della partecipazione.
FOCUS: Raccolta differenziata: come differenziare i rifiuti correttamente
I centri di deposito o riciclerie (drop off center) sono invece dei punti di raccolta di materiali specifici, come ad esempio il gas propano, le vernici, i RAEE, che normalmente non si possono buttare nei cassonetti o far prelevare dal camion della nettezza urbana. Anche le città che utilizzano i camioncini dispongono di questi centri.
Poi ci sono i centri dove puoi ricomprarti i rifiuti (buyback center), del tutto simili alle riciclerie, anche se intorno si è sviluppato un vero e proprio business, sono negozi dove il cittadino porta particolari materiali di scarto come alluminio o altri metalli, già selezionati per tipo, e l’impresa paga per il loro acquisto.
Una evoluzione dei buyback center sono i programmi di rimborso, molto noti negli Stati Uniti, che ora stanno attecchendo anche in Europa e in Italia. Ogni cittadino viene chiamato ad accumulare dei rifiuti specifici, come le lattine o le bottiglie, e in cambio riceve un rimborso per ogni tipologia di scarto sia in denaro che in generi alimentari o altro ancora.
Due esempi interessanti di questo approccio sono Terracycle (guarda l’articolo Terracycle: dai rifiuti un mondo di nuovi prodotti. Quando a gestire i rifiuti è una azienda) e la rete in franchising Eco-punto. Nel primo caso è un’azienda americana che ricicla materiali per ricavarne oggetti di altro tipo e da sconti a chi gli ha portato i rifiuti. Nel secondo è una catena di negozi in cui si portano gli scarti già selezionati per genere e si riceve in cambio un certo quantitativo di alimenti, quasi fosse un baratto (guarda articolo di TuttoGreen In Sicilia c’è Eco-punto: il primo franchising dove i rifiuti riciclabili).
Ma come si può invogliare un’intera comunità ad avere maggiore cura nel riciclo dei propri rifiuti? La situazione attuale dimostra che ricorrendo ad incentivi di varia natura le persone riescono ad assumere un atteggiamento responsabile. Negli Usa e in Inghilterra sono nati programmi come Recycle Bank, che sembra continuare a dare i suoi frutti (come si vede dall’articolo di TuttoGreen sulla Carta fedeltà della Recycle Bank). In Italia sono stati fatti esperimenti simili in varie città, dove ogni comune ha adottato le soluzioni che riteneva più adeguate.
A Portici (NA) ad esempio, la TARSU (Tassa sui Rifiuti Solidi Urbani) non subirà aumenti grazie agli ottimi risultati raggiunti con la differenziata. Mentre a Bari è stata scelta la raccolta punti “Chi differenzia ci guadagna”.
Ma non si tratta solo di iniziative legate all’amministrazione comunale, negli ultimi anni anche le catene di vendita stanno avviando programmi di ritiro di vecchi abiti offrendo in cambio sconti sull’acquisto di nuovi capi. Si tratta di iniziative lodevoli ma aleggia sempre il fantasma della deresponsabilizzazione. In assenza di una ricompensa ritenuta adeguata dal singolo cittadino la differenziata non attecchisce, mentre sarebbe preferibile che questi comportamenti facessero parte della coscienza collettiva.
Abbiamo sempre sostenuto che riciclare faccia bene all’uomo e all’ambiente ma a quanto pare non tutti sono d’accordo sui benefici che possano derivare da questi comportamenti. Si levano infatti voci contrarie che tendono a mettere in luce i costi ambientali indotti paradossalmente dallo stesso riciclo. Si parla di un gioco a somma zero, dove le procedure spese per ottenere un nuovo prodotto a partire da uno scarto producono di per sé un ulteriore consumo di energia e altri rifiuti.
In più, sostengono i detrattori del riciclo, spesso si ottengono prodotti di qualità inferiore rispetto all’originale. Inoltre l’utilizzo di discariche ed inceneritori otterrebbe vantaggi non così rilevanti da giustificare l’impiego di mezzi per avviare una raccolta differenziata. Le critiche più radicali parlano addirittura di un falso senso di sicurezza indotto dall’adottare uno stile di vita ecologico. A nostro avviso però suona più come mettersi l’anima in pace con se stessi e con il mondo, senza di fatto contribuire a reali cambiamenti esterni.
L’unica vera soluzione al problema dei rifiuti al momento sembra essere la lotta ferrea al consumismo. Se non si comprano cose inutili si riducono i rifiuti. Soluzione drastica ma reale ma l’economia sarà in grado di reggere?
Noi siamo convinti che una giusta destinazione dei prodotti, una volta gettati nella spazzatura, possa realmente contribuire a salvaguardare il nostro pianeta. Il sistema è perfezionabile e ancora pieno di errori ma è un dovere civico non chiudere gli occhi e partecipare attivamente ed in modo responsabile.