Flight shame: perché sempre più persone provano vergogna di volare
E perché parlarne senza sensi di colpa
C’è chi si imbarca con leggerezza… e chi, mentre il trolley sfreccia verso il gate, sente un piccolo colpo allo stomaco: ecco, sto per prendere un aereo. Quanto inquina? Dovrei sentirmi in colpa? Benvenuti nel mondo del flight shame (in svedese flygskam), una delle parole green più discusse degli ultimi anni.
Sommario
Ma cos’è esattamente il flight shame
È un senso di vergogna o imbarazzo per l’impatto climatico dei voli aerei. Non è una fobia, né un’ossessione, bensì una reazione emotiva sempre più comune, soprattutto tra chi è molto attento alla sostenibilità.
Da dove viene
Il termine arriva dalla Svezia, terra di Greta Thunberg e di un movimento culturale che ha dato vita a un’idea piuttosto semplice: Se posso ridurre le mie emissioni, perché non dovrei farlo anche quando viaggio?
Il fenomeno è esploso quando celebrità, influencer e navigatori ecologici hanno iniziato a dichiarare pubblicamente di rinunciare all’aereo per preferire treni, bus o traghetti, trasformando il gesto in una sorta di statement etico.
Chi prova davvero flight shame
Più persone di quante pensiamo, ma con sfumature diverse:
- I super-green convinti: quelli che prima di prenotare un volo controllano l’impronta di CO₂ come gli altri guardano i prezzi
- I pentiti dell’ultimo minuto: amano viaggiare, ma si sentono un po’ in colpa quando scoprono che un singolo volo può produrre la stessa CO2 di mesi di spostamenti quotidiani
- Gli eco-agonizzati: vorrebbero andare ovunque in treno… ma poi la realtà degli orari li riporta bruscamente alla vita
- I pragmatici: non provano vergogna, però iniziano a chiedersi come rendere i loro viaggi un po’ più leggeri sul pianeta
Perché il volo fa sentire così pesanti
Un viaggio in aereo emette spesso più CO2 rispetto a qualsiasi altro mezzo di trasporto su larga distanza. Non sorprende quindi che molti viaggiatori inizino a percepire il proprio biglietto come una piccola “impronta digitale” sul clima.
Ma, attenzione, non è una caccia alle streghe. Il flight shame nasce come riflessione, non come giudizio. E allora… perché è diventato stigmatizzante?
Perché, come spesso accade quando un’idea green diventa mainstream, si è creato un effetto boomerang. Alcune persone hanno iniziato a sentirsi giudicate per aver preso l’aereo, mentre altre hanno usato il tema per colpevolizzare chi vola.
Insomma: da spunto di consapevolezza, il flight shame rischia di trasformarsi in shaming vero e proprio. E questo non aiuta nessuno.
Possiamo essere sostenibili senza rinunciare a viaggiare?
Buone notizie, possiamo essere sostenibili senza rinunciare a viaggiare e senza autoflagellarsi. Ecco alcune soluzioni intelligenti (e realistiche):
- Scegliere il treno quando è possibile (in Europa è un’ottima alternativa)
- Compensare le emissioni, ma affidandosi a progetti certificati
- Optare per compagnie aeree più efficienti sul piano energetico
- Allungare la durata del viaggio: meno voli, più tempo in ogni luogo
- Viaggiare leggeri, anche nel bagaglio, perché meno peso equivalente, meno consumo.
Il punto non è la vergogna, ma la consapevolezza. Il flight shame, se interpretato nel modo giusto, non è un dito puntato. È una domanda: Come posso continuare a viaggiare, ma in modo più responsabile?
E la risposta non è uguale per tutti. C’è chi può scegliere il treno, chi no; chi vola raramente, chi per lavoro; chi compensa, chi riduce. L’importante è fare scelte informate e non trasformare la sostenibilità in una gara di purezza.
Conclusioni
Allora è possibile volare o non volare per i propri spostamenti senza vergogna? Viaggiare rimane una delle esperienze più arricchenti della vita. Il flight shame ci ricorda che ogni nostro spostamento ha un impatto. Sta poi a noi decidere come bilanciarlo, senza giudizi e senza ansie inutili.
Perché essere sostenibili non significa smettere di esplorare il mondo… ma farlo con un po’ più di attenzione.
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Ultimo aggiornamento il 12 Dicembre 2025 da Rossella Vignoli
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