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Anche le piante sono sensibili?

Da frutta, da verdura oppure ortaggi; da giardino, d’appartamento o da fiori; per il nostro piacere visivo e per quello papillare; per la sopravvivenza dell’intero pianeta; nella nostra vita le piante sono fondamentali eppure le trattiamo con superficialità, esseri viventi sì ma di serie B, incapaci di muoversi, di comunicare, di provare qualcosa.

Anche le piante sono sensibili?

È veramente così? Secondo l’idea “zoo-centrica” del provare, certamente le piante non presentano quei meccanismi, facilmente riconoscibili, di risposta agli stimoli esterni, ma cambiando angolazione, rivedendo il concetto di “sensibilità”, ogni certezza viene a cadere.

Studi e ricerche degli ultimi 30 anni dimostrano chiaramente che  le piante sono in grado di vedere, annusare, assaporare, ascoltare e sentire l’ambiente circostante e di dare risposte più o meno evidenti a ciò che le riguarda.

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Prima ancora di germogliare, quando sono solo semi, le piante sono in grado di testare l’aria e la temperatura per scegliere il momento migliore per germinare; la loro intelligenza è incredibile, se si pensa che molti tipi di alberi sono in grado di informare i  vicini di aver contratto una specifica malattia così da permettere loro di sviluppare in tempo difese naturali contro l’ infezione o di produrre deterrenti chimici quando attaccati da afidi e parassiti.

Per l’occhio umano niente è più evidente dei casi di piante sensibili al tocco, come nel caso della venere acchiappamosche o della mimosa sensitiva che, per ragioni differenti, chiudono le loro foglie in un gesto veloce, visibile ad occhi nudo: la prima per nutrirsi, l’altra per difendersi.

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Secondo una ricerca del professore Jeffe  Mordecai, dell’univerità del North Carolina, accarezzarle le aiuta ad irrobustire gli steli, perché vivono il nostro tocco come se fossero in presenza di un forte vento che le incoraggia ad inspessire i gambi; questa tecnica viene utilizzata da tempo in Giappone per rendere più forti le piantine di barbabietola da zucchero prima di trapiantarle.

La ricerca più interessante coinvolge, però, la capacità di tutte le piante di “vedere”, ossia l’atavica abilità di percepire la luce e di rispondere in maniera diversa alle sue differenti lunghezze d’onda.

Sono anni che l’esperto statunitense di fisiologia vegetale Michael J. Kasperbauer studia le conseguenze che le minime variazioni dello spettro luminoso possono avere sulla qualità e quantità delle coltivazioni.

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In particolare la sua ricerca si è concentrata sui campi di rape; in queste colture, come in quelle delle fragole ed altre specie simili, il terreno viene ricoperto da teli di plastica nera il cui scopo è quello di mantenere l’umidità, evitare la crescita di erbacce ed isolare le giovani radici dall’eventualità di gelate improvvise.

Il professore Kasperbauer ha dimostrato che variando il colore della plastica si può influire sul sapore delle rape: se la plastica è blu le rape risulteranno più aspre, se bianco più insipide, se verde più dolci.

Il segreto è tutto nella rifrazione della luce che viene recepita da uno speciale pigmento proteico, chiamato fitocromo, che è particolarmente sensibile alle lunghezza d’onda del rosso e dell’infrarosso. Grazie a questa porteina la pianta di rapa risponde crescendo di più e producendo più frutti, perché questo tipo di luce crea al vegetale la percezione di essere in presenza di molti altri esemplari dello stesso tipo tanto da farlo entrare in forte competizione per lo sviluppo della successiva generazione.

Quindi, se per “sentire” s’intende la capacità di reazione al mondo esterno, considerando che è dimostrato che anche le piante hanno questa capacità, allora dovremmo iniziare a comportarci nei confronti del regno vegetale con più rispetto di quello avuto fino ad oggi.

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