L’Italia verde famosa nel mondo: Mario Margheriti
Pensiamo al Callistemon, quella bella pianta dai vivaci ciuffi rossi che incontriamo in tutti i negozi, nei giardini, negli addobbi floreali. O all’albero della Canfora, riconoscibile per il portamento signorile e l’apparato fogliare sempreverde. Forse non molti lo sanno, ma queste e molte altre comuni piante che oggi vediamo nelle aiuole e lungo i viali delle nostre città vanno ricondotte al lavoro di un unico artefice: Mario Margheriti.
Un signore che partendo da una piccola azienda familiare attiva nella vendita di sementi e bulbi a Chiusi, in Toscana, è riuscito a realizzare un impero florovivaistico esteso oggigiorno su tre continenti.
Il Gruppo Torsanlorenzo, diretto da Margheriti, è oggi una realtà internazionale, impiega 500 persone, si estende su 650 ettari, con un fatturato di 20 milioni di euro annui. Conta 16 aziende dislocate nel centro e sud d’Italia ma anche nel Nord Europa, negli Emirati Arabi, in Sud Africa. Presto all’elenco potrebbero aggiungersi due nuove sedi, una in Georgia, l’altra ad Abu Dhabi.
A Margheriti vanno attribuite realizzazioni spettacolari come l’Al Hussein National Park in Giordania, l’Eden Project in Cornovaglia, il Giardino di Allah in Marocco, il Valdebrad Park di Madrid, il Garden of the Cliff in Croazia, il grande parco tematico Terra Mitica di Benidorm in Spagna.
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Partito da un piccolo vivaio, l’imprenditore toscano conobbe la svolta dopo il fortunato incontro con la marchesa Lavinia Taverna Gallarati Scotti, nobildonna di grande garbo, di raffinata cultura botanica e grande predilezione per il verde. Al punto da trasformare un vasto appezzamento di 170 ettari sul litorale laziale in un laboratorio di sperimentazioni.
I due, la marchesa e Margheriti, condividevano la voglia del nuovo e di trasformare il territorio in un teatro dialogante con i sentimenti degli uomini e non come si soleva all’epoca in grandi prati verdi dove limitarsi a collocare qua e là rose da taglio, gerani, ortensie e margherite.
L’interesse delle due personalità si indirizzò da una parte alla riscoperta delle piante mediterranee, dall’altra all’interesse per quelle australiane e per quelle della California, spinti dalla continua ricerca di specie che si adattassero al clima mediterraneo. Margheriti partì alla scoperta di nuove specie floreali, totalmente sconosciute dai vivaisti del Belpaese. Iniziò ad importarne di nuove dall’Australia, dall’Africa, dal Cile per capire se ci fossero spiragli positivi. Il molti casi l’azzardo ebbe successo, e così Margheriti iniziò a invadere l’Italia con piante dai colori e dalle forme straordinarie che oggi fanno bella mostra di sé in molte case e in molti giardini pubblici e privati.
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Stupefacente il catalogo dell’azienda, sembra di prendere tra le mani un volume enciclopedico: 900 pagine per due chili e 750 grammi di peso, 5.800 schede di piante in produzione con tutte le loro caratteristiche. Viene distribuito in 12.000 ricercatissimi esemplari in tutto il mondo. Oggi il Gruppo non solo produce piante europee ma è in grado di creare e adattare a tutti i climi dei paesi in cui opera qualsiasi tipo di pianta.
Margheriti è uomo d’impresa, ma anche pensatore naturalista. Sostiene che la cura del verde dovrebbe rappresentare una esigenza quotidiana, un’attività che in sè racchiude anche un valore fortemente terapeutico per le persone di una certa età. Crede molto nel valore sociale ed economico del verde, come dimostrano i numerosi casi di urbanizzazione intelligente sparsi per l’Europa e per il mondo. Non certo in Italia, dove la crisi e una certa sordità delle istituzioni rappresentano dei forti ostacoli.
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Ma Margheriti, uomo tenace, non molla la presa ma anzi pensa a nuovi progetti, primo fra tutti fare un grande parco didattico con una scuola di architettura e di giardinaggio, che proponga sulla scena una nuova generazione di competenti e appassionati fabbricatori di verde, paesaggi e giardini. L’obiettivo è quello di conferire nuova linfa al “contorno” delle nostre città e campagne.
Ultimo aggiornamento il 16 Gennaio 2024 da Rossella Vignoli