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Come fa un vitello a diventare Schwarzenegger…

Bovini extra-large destinati al mercato delle carni e adeguatamente ‘gonfiati’ a forza di antibiotici e altre sostanze chimiche che potremmo definire ‘dopanti’ viste le incredibili dimensioni che i manzi assumono dopo essere stati sottoposti a un massiccio trattamento durante le loro brevi vite. È questa la trama di quello che sembra un film dalle tinte in chiaro-scuro sul quale, ogni tanto, le telecamere di impavidi giornalisti cercano di gettare luce.

Come fa un vitello a diventare Schwarzenegger…

Siamo in Texas, precisamente nelle celle frigorifere del campus di West Texas A&M University, dove tra un vitello e l’altro, ogni tanto ci si imbatte in carcasse di bovini di dimensioni decisamente ‘smodate’ rispetto alla media.  All’origine del singolare fenomeno c’è l’uso di un nuovo farmaco addizionato al mangime, lo Zilmax prodotto dalla colosso farmaceutico Intervet, somministrato agli animali negli allevamenti per prepararli adeguatamente alla macellazione.

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Un farmaco vietato in Europa – perché considerato potenzialmente dannoso per la salute umana –  ma che negli Usa, secondo alcuni osservatori, potrebbe rivoluzionare il sistema di produzione delle carni bovine. Sì, perché somministrato nei 20 giorni precedenti alla macellazione lo Zilmax permette aumentare di 25-30 chilogrammi il peso dell’animale trasformarndolo in un bovino in formato ‘Schwarzenegger’. Maggiore è il peso, maggiore è la carne da macellare e vendere, maggiore è anche il profitto.

In posti come questi l’attività di allevatori,scienziati, ricercatori universitarie case farmaceutiche si intreccia in maniera inquietante per alimentare un business nel quale convergono molteplici interessi economici: diminuire i tempi di ingrassamento degli animali per renderli subito pronti alla macellazione e quindi al commercio; offrire un buon affare alle case farmaceutiche fornitrici delle miracolose sostanze; far piovere nelle casse dei centri universitari migliaia di assegni di ricerca spesso sufficienti a coprire anche le spese ordinarie e amministrative; irrobustire gli stipendi di professori e ricercatori fornendo loro la possibilità di moltiplicare i profitti lavorando come consulenti per le sopracitate aziende farmaceutiche. E poco importa se questo enorme business non tiene affatto in considerazione la tutela del bene collettivo, dell’ambiente e della salute dei consumatori. Nell’America dei tanti paradossi la realtà è anche questa.

Ma con l’introduzione dello Zilmax la situazione potrebbe arrivare ad un punto di non ritorno. Alcuni allevatori e dirigenti di aziende del settore hanno iniziato a storcere il naso di fronte a quell’immagine inverosimile e distorta del manzo americano che col tempo potrebbe diventare difficile da vendere visto l’impatto negativo che il farmaco ha sulle caratteristiche principali (qualità, dimensione e tenerezza) delle carni. Anche le aziende di imballaggi cominciano ad avvertire ‘l’ingombrante’ problema; i macellai fanno sempre più fatica a preparare i manzi nei classici formati previsti dalla grande distribuzione e all’interno dei supermercati le dimensioni dei vassoi preposti al confezionamento devono essere aumentate in maniera proporzionata. In pratica l’equilibrio di tutta la filiera produttiva si sta incrinando. E nonostante i tentativi di sdoganare i farmaci da alcuni ‘pregiudizi’, i consumatori (per fortuna) disdegnano sempre più frequentemente le marmoree e insipide bistecche di vitello drogato.

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Ma il problema, oltre che economico, è anche etico. A causa degli accordi di riservatezza che le imprese farmaceutiche stringono con ricercatori e università sponsorizzate, la circolazione di informazioni complete e attendibili è seriamente compromessa e molti dei risultati derivanti dagli studi condotti su questi trattamenti non possono essere pubblicati. In pratica siamo di fronte ad un enorme conflitto di interessi che di fatto preclude ai consumatori la possibilità di essere veramente informati sulla qualità del cibo che portano in tavola.

Eppure l’uso di droghe nei mangimi o nelle tecniche di allevamento destinate al consumo umano è vietato, almeno in parte, anche in America. Per ottenere il consenso all’impiego dello Zilmax, la Intervet ha testato il farmaco su animali e una dozzina di essere umani nei quali è stato riscontrato ‘soltanto’ un moderato aumento dell’attività cardiaca associata a ‘tremori’. Tuttavia, il livello minimo di sicurezza è stato recepito dalle autorità competenti sufficiente a permettere l’introduzione del farmaco negli allevamenti. Che sia arrivato il momento, anche per gli americani, di rinunciare alle logiche del profitto e pensare al bene pubblico come ad un valore reale e non ad uno slogan pubblicitario?

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Erika Facciolla

Giornalista pubblicista e web editor free lance. Nata nel 1980, si trasferisce a Bologna dove si laurea in Scienze della Comunicazione. Dal 2005 è pubblicista e cura una serie di collaborazioni con redazioni locali, uffici stampa e agenzie editoriali. Nel 2011 approda alla redazione di tuttogreen.it per occuparsi di bellezza e cosmetica naturale, fonti rinnovabili e medicine dolci.

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