Non si placano le polemiche dopo il disastro ambientale causato dall’esplosione della ‘Deepwater Horizon’, la piattaforma petrolifera andata in fiamme nel Golfo del Messico più di quattro anni fa.
A finire sul banco degli imputati questa volta sono i solventi anti-petrolio utilizzati per contenere la ‘marea nera’, solventi che secondo gli esperti della Georgia Institute of Technology e dall’Universidad Autonoma de Aguascalientes sarebbero ben più tossici della fuoriuscita stessa. La causa di questa ennesima sciagura consisterebbe proprio nel micidiale ‘mix solventi-petrolio’: un composto, a detta dei ricercatori, 52 volte più pericoloso per animali e alghe del petrolio in sé, nonché letale per i microrganismi alla base della catena alimentare dell’ecosistema marino del Golfo del Messico.
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Per essere precisi la sostanza ‘killer’ è lo Corexit normalmente impiegato in casi analoghi per la sua capacità di ‘agglomerare’ le chiazze di petrolio presenti in mare in modo da evitarne lo spargimento in aree più vaste e renderne più facile il drenaggio con le pompe. Il punto è che la pericolosità di questa sostanza – nonostante sia prevista dai protocolli internazionali in caso di disastro ambientale da petrolio – non è mai stata sottoposta a severi test di tossicità.
O almeno così dicono gli scienziati autori dello studio che denunciano quando sia stata sottovalutata la pericolosità della sostanza in tutti questi anni.
Da ciò un terribile (e paradossale) dubbio: sarebbe forse ‘meno dannoso’ per l’ambiente lasciare che il petrolio si sparga piuttosto che ricorrere a soluzioni poco affidabili?
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