Vandana Shiva: il futuro è tornare nei campi
Come evitare che un'economia basata unicamente su logiche produttive distrugga tutto ciò che di perfetto la terra ci ha regalato
Vandana Shiva parla di ambiente, riconversione dei campi e agricoltura biologica da moltissimo tempo. Lo fa viaggiando per il mondo. Presenziando conferenze o incontri a tema e organizzando attività di supporto. Su questo tema ha anche scritto Ritorno alla terra, che abbiamo a suo tempo apprezzato e recensito.
È considerata una delle massime divulgatrici di questo nuovo pensiero filosofico, l‘ecologia sociale, diventato paradossalmente famoso con la globalizzazione.
Fa parte dell’International Forum on Globalization, vicepresidente di Slow Food, e presidente del movimento ambientalista Navdanya, meglio conosciuto come Banca del seme (in hindi Navdanya significa nove semi, ndr), un luogo dove scambiare sementi con i contadini che aderiscono al movimento. Crede fermamente nella valorizzazione dell’agricoltura naturale senza l’uso di prodotti chimici e ogm.
Vandana Shiva da poco ha ottenuto il “Premio San Martino 2010 per la biodiversità”, consegnatole dalla Provincia di Parma. Nel suo discorso ha parlato di “rispetto”. Rispettare l’uomo, il cibo e la natura per evitare che un’economia basata unicamente su logiche produttive distrugga tutto ciò che di perfetto la terra ci ha regalato.
Contraria a coltivazioni di tipo intensive, Vandana si schiera apertamente contro chi parla soltanto in termini di produzioni a scopo di lucro.
Eccovi una sintesi di un intervista a Repubblica “Occorre ricercare un nuovo equilibrio, spiega, tra risorse, investimenti e profitti. Il problema potrebbe riguardare le nuove tecnologie, quelle nate a supporto dello sviluppo agricolo“
Questo modus operandi è negativo per la stessa agricoltura: È necessario che gli Stati si impegnino a tutelare il più possibile la biodiversità. Sacrificare colture tradizionali per dare spazio a colture intensive perché più redditizie danneggia in primo luogo i contadini. Negli Usa ad esempio l’83% del mais prodotto serve per produrre biocombustibile, afferma l’attivista.
L’ottica non deve essere, dunque, quella del profitto, ma della tutela della biodiversità.
L’impegno nella difesa della biodiversità è più che mai presente in ogni sua parola. Anche se c’è una tendenza generale, quasi una moda si potrebbe obiettare, a voler consumare in maniera più sostenibile le politiche poste in atto dai maggiori paesi industrialiazzati, vanno tutt’altro che in quella direzione.
La stessa politica di Obama, afferma la donna, è di finta sostenibilità. L’unico modo per uscire fuori da questa situazione è creare una coscienza green globale; promuovere un new deal verde che ragioni in termini più ampi.
La crescita economica ha sempre comportato un fenomeno migratorio dalle campagne verso le città industrializzate, in futuro potrebbe essere l’inverso.
Gli ingredienti per un’esistenza più sostenibile e umana sono già a disposizione, senza che il progresso venga bloccato. Per l’attivista indiana la soluzione ci viene fornita ancora una volta dalla natura: tornare a vivere in campagna e nei boschi, quale miglior modo per essere felice.
Che ne pensate? Questa è una scelta che condividete? Diametralmente opposta a quella suggerita da Stewart Brand in “Una cura per la terra. Manifesto di un eco pragmatista”
Ultimo aggiornamento il 19 Settembre 2024 da Rossella Vignoli