In USA poche multinazionali dominano il cibo, agricoltori in crisi
Il parallelo italiano
Da molto tempo si discute sulla questione che negli USA poche multinazionali dominano il cibo e spesso anche l’agricoltura. E questo si riflette nelle regole di sfruttamento imposte da queste imprese all’agricoltura dei contadini del Terzo Mondo. Lo scopo prevalente è la soddisfazione dei bisogni alimentari dei Paesi occidentali e recentemente anche dei Paesi emergenti. Capiamo come si è arrivati a questo punto e cosa succede in Italia.

Sommario
Il quadro statunitense
Il monopolio alimentare USA prevede che poche e grandi aziende del settore alimentare dominino l’agricoltura occidentale. Questo genera la tendenza, ormai evidente, di imporre unilateralmente i prezzi di acquisto delle materie prime alimentari, ovviamente nell’ottica della massimizzazione dei loro profitti.
Sono sempre le stesse aziende, poche e potenti, a monopolizzano il mercato della produzione agricola americana. Quest’ultima si deve adeguare e accettare le regole. E questo accade in tanti settori legati alle materie prime alimentari, oltre a quello della soia, la produzione di latticini, di suini, del pollame, di frutta e ortaggi.
Le conseguenze per gli agricoltori americani sono:
- guadagni più bassi per gli agricoltori
- scomparsa dei piccoli produttori a favore di aziende agricole di grandi dimensioni,
- colture sempre meno diversificate o addirittura monocultura, specialmente del mais
- terreni sempre più sfruttati e quindi poco fertili, che hanno bisogno di ‘aiuti’ chimici per dare i loro frutti
Il caso OGM e soia
Un’organizzazione che si occupa di diritti dei consumatori, la Food and Water Watch, ha analizzato la situazione dei produttori agricoli americani e come l’agricoltura americana ha vissuto negli ultimi anni verso gli OGM.
In sintesi la gran parte degli agricoltori americani illusi dai profitti promessi dalla produzione OGM, verso la fine degli anni ’90 ha abbandonato le coltivazioni tradizionali, cioè quelle non OGM, perché poco remunerative.
Spinti anche dalla pressione delle multinazionali stesse, che così potevano brevettare l’imbrevettabile, i semi, offerti dalla Natura, sono diventati un vero e proprio prodotto, che così ha aumentato la spesa degli agricoltori, attratti dalla sua maggiore resa e poco avezzi a considerare la reale contropartita. Pesticidi e fertilizzanti ad hoc per questi semi, venduti sempre dalle stesse multinazionali.
Ma quando la crisi economica ha ridotto i consumi alimentari degli americani, le stesse aziende hanno ripreso ad acquistare materie prime non OGM, ormai completamente deprezzate e disponibili a prezzi stracciati. Risultato? Profitti mantenuti per le multinazionali, profitti azzerati per gli agricoltori e raccolti andati in fumo.
Un esempio è quello delle multinazionali cibo che sostengono che la soia OGM sia migliore per la salute umana. Così il ritorno alla soia non OGM viene mascherato dietro la dicitura ‘prodotto naturale’, cancellando dalle etichette l’indicazione che si tratti di materia prima geneticamente modificata o meno.
Caso emblematico è quello della Dean Foods, detentrice di un monopolio del mercato USA del latte di soia destinato alla grande distribuzione e che è passata in modo rapido dalla produzione con soia OGM a quello con soia non OGM.
Effetti su prezzi e biodiversità
L’effetto di contrazione dei prezzi agricoli è evidente nel contesto del monopolio alimentare USA: quando 4 o 5 multinazionali fissano unilateralmente il prezzo di acquisto di mais, soia e carne, il valore riconosciuto agli agricoltori crolla, mentre quello pagato dal consumatore finale rimane stabile o addirittura cresce.
Questa forbice genera una drastica contrazione dei margini di profitto nelle aziende agricole, costringendo molti piccoli produttori a vendere o a convertirsi in aziende che lavorano contoterzi per le stesse corporation che controllano l’intera filiera alimentare, dai semi brevettati al supermercato.
La pressione sui prezzi va di pari passo con un impoverimento della biodiversità agricola. Per soddisfare i volumi richiesti dai grandi gruppi, gli agricoltori statunitensi sono spinti a puntare su poche varietà geneticamente uniformi – soprattutto mais e soia OGM – praticando monocolture estensive che erodono il patrimonio genetico delle colture tradizionali.
La riduzione della diversità colturale favorisce
- diffusione di parassiti specifici
- uso massiccio di erbicidi e fertilizzanti di sintesi
- impoverisce la fertilità del suolo
Il risultato è un ecosistema fragile, incapace di reagire ai cambiamenti climatici e alle nuove fitopatie, con conseguenze che si ripercuotono sull’intera catena alimentare.
In sintesi, la concentrazione del mercato alimentare USA non solo schiaccia i prezzi agricoli, ma accelera anche la perdita di biodiversità, innescando un circolo vizioso di dipendenza chimica, degrado del suolo e vulnerabilità economica per gli agricoltori.
Confronto con l’Italia
La situazione in Italia non è molto diversa. Purtroppo, a partire da alcuni anni anche gli agricoltori di casa nostra hanno subito una notevole contrazione dei prezzi che vengono gestiti dalle stesse imprese che spesso operano sul mercato statunitense, soprattutto per quanto riguarda i cereali.
In parte motivata dalla riduzione dei consumi di cereali per l’alimentazione umana. In questo scenario gli agricoltori sono costretti a contrattare con i prezzi per evitare l’eccessivo ribasso.
Tutto ciò non costituisce, tra l’altro, un fattore di attrazione per i giovani, che non vedono nell’agricoltura un futuro facile, minacciato anche da fenomeni negativi come quelle della contraffazione alimentare, estremamente dannoso per l’immagine e l’economia agricola italiana.
Soluzioni: filiere corte e biologico
In un contesto come questo, si rafforza il punto di vista che da tempo in molti condividono, quello di preferire l’agricoltura biologica e l’agricoltura biodinamica, con tutti i prodotti agricoli a km zero o comunque a filiera corta, i prodotti da agricoltura biologica, di cui si possa controllare la provenienza, certificati, e svincolati, almeno per ora, dalle regole della grande distribuzione.
Ma la strada è tutta in salita, soprattutto per via dei prezzi al consumo di questo tipo di prodotti che, di fatto, non li rende accessibili a molti.
Quante aziende controllano il mercato alimentare USA?
Negli Stati Uniti il settore alimentare è dominato da un gruppo ristrettissimo di imprese: in media 4-5 multinazionali controllano la gran parte della filiera (dai mangimi alle carni fino alla distribuzione).
- Commercializzazione di cereali e materie prime (chiamate anche ABCD): Archer Daniels Midland (ADM), Bunge, Cargill e Louis Dreyfus Company
- Carni e proteine animali: Tyson Foods, JBS USA (controllata dal gruppo brasiliano JBS), Smithfield Foods (di proprietà del cinese WH Group) e Cargill Protein
Nel segmento strategico dei semi OGM, la concentrazione è ancora più estrema. Il 90% dei semi OGM è in mano a 3 aziende. E sappiamo bene che alimenti come la soia a km zero e non esistono: Bayer – Monsanto, Corteva Agriscience (ex DuPont Pioneer + Dow), Syngenta Group (oggi del conglomerato cinese Sinochem/ChemChina).
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Ultimo aggiornamento il 8 Maggio 2025 da Rossella Vignoli
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