Stagionatura del prosciutto: ecco come funziona
La stagionatura del prosciutto crudo è uno dei processi più naturali ma anche incredibili per uno dei prodotti di eccellenza del nostro paese: scopriamo come funziona.
Spesso ci rechiamo al supermercato e, girando tra gli scaffali, acquistiamo prodotti di tutti i tipi, la maggior parte dei quali di produzione industriale e non certo naturale e genuina. Eppure c’è un prodotto, che poi è uno dei prodotti di eccellenza del nostro paese, che è fatto in modo assolutamente naturale e tradizionale: è il prosciutto crudo, che nonostante si possa trovare in confezioni di plastica sotto vuoto, è ben diverso da molti altri cibi frutto della tecnologia alimentare. Vediamo perché.
Il prosciutto è nato per la necessità di conservare un suino macellato. Immaginate la situazione: una famiglia che aveva un maiale, magari cresciuto nel giro di un anno, si trova con tantissima carne tutta in una volta; questa carne doveva essere consumata nel corso dell’anno, ma non c’erano frigoriferi che aiutassero la conservazione.
E così il metodo per conservarlo se lo sono, per dire, inventati: in una combinazione di salagione della carne e di stagionatura, quindi perdita graduale di acqua, abbiamo un prodotto che addirittura può essere conservato per degli anni. Un prodotto che oltre alla carne, al sale, al pepe, ad un po’ di grasso dello stesso maiale, e a un po’ di farina, non ha altro. Nulla di artificiale, di chimico, di industriale, solo tradizione.
Il prosciutto, così come altri salumi, parte sempre da un pezzo di carne fresca, ottenuta da un animale (un suino) appena macellato. Carne che deve perdere la sua acqua, ma al contempo, visto che del sangue ancora circola, fare in modo che i microrganismi non possano svilupparsi dentro di esso o contaminerebbero tutto rendendo il prodotto immangiabile.
Per prima cosa, la coscia dell’animale viene massaggiata, operazione che può essere manuale o meccanica, per rendere il pezzo di carne più lavorabile ed espellere il sangue eventualmente ancora presente nei vasi. Poi si lascia riposare ad una temperatura di refrigerazione (attenzione: non viene congelato) per 24 ore.
Dopodiché viene coperto di sale, che attira a sé l’acqua: rendendo l’acqua poco disponibile per i microrganismi, questi non possono svilupparsi e il prodotto, in questo modo, si conserva. La coscia non viene mai tagliata e il sale non si mette con degli aghi all’interno (come avviene invece con il prosciutto cotto, che è un’altra cosa) e si sparge sulla superficie della coscia. Poi si lascia riposare una settimana perché possa riposare assorbendo il sale. Quindi si riprende, si capovolge e si sala di nuovo, così che anche l’altra parte della coscia possa assorbire il sale. E si lascia riposare 15 giorni. Poi il sale residuo, rimasto all’esterno viene rimosso e i prosciutti riposano ancora un po’, dai due ai tre mesi, in clima poco umido, perché il sale venga assorbito ancora di più.
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E qui, vedendolo, il prosciutto sembra ancora un pezzo di carne e non prosciutto come siamo abituati ad intenderlo: perché adesso si arriva, finalmente, alla stagionatura vera e propria. Si ricopre di grasso (grasso suino detto sugna) ed eventualmente altri prodotti, in base alla tipologia di prosciutto (altro sale, pepe, farina) la parte non coperta dalla pelle del maiale, quella in cui la gamba era attaccata al bacino; vedendolo al supermercato, è la parte da cui spunta l’osso. Sigillando il prosciutto in questo modo, si mette nelle famose cantine a stagionare, ovvero a perdere l’acqua ancora residua grazie alla bassa umidità e alla ventilazione delle sale. Sale che, se a qualcuno capita di visitarle, sono uno spettacolo dell’ingegno umano. Da vedere almeno una volta nella vita.
La cosa più incredibile è l’ultimo passaggio, che è la saggiatura: dopo 18-24 mesi (quindi due anni) di stagionatura, un esperto infila in ogni prosciutto un ago d’osso in alcuni punti ben precisi, e lo annusa. Questo processo serve ad essere sicuri che dentro il prosciutto non siano avvenuti processi di putrefazione che all’esterno non possiamo vedere. Se l’esame visivo del prosciutto e l’esame olfattivo fatto in questo modo sono positivi, il prosciutto è pronto per essere venduto.
Qualora uno di questi esami fosse negativo… Due, tre anni di lavoro buttati al vento perché il prosciutto non può essere venduto. Se è possibile si sfrutta per farne produzioni di minor pregio (ripieno per tortellini), se magari è brutto da vedere ma buono da mangiare, mentre qualora abbia subito putrefazioni deve essere buttato e smaltito.
Un processo veramente particolare e delicatissimo: un piccolo errore in tutto il processo fa gettare al vento il lavoro di alcuni anni. Uno dei processi in assoluto più spettacolari delle nostre produzioni italiane.
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Ultimo aggiornamento il 23 Ottobre 2017 da Rossella Vignoli