Disastri ambientali: pagine nere della storia umana, troppo rapidamente rimosse di volta in volta. Un dibattito che si riaccende tristemente solo nel momento in cui si verifica una nuova emergenza.
Ma è un dibattito tutt’altro che scolastico, come vedremo. E’ un dibattito denso di implicazioni. Se per risalto mediatico, infatti, il disastro della Deepwater Horizon è secondo solo all’incidente nucleare di Chernobyl, con ogni probabilità non si tratta del secondo disastro ambientale per gravità nella storia. Basti pensare al disastro di Bhopal in India nel 1984, che causò qualcosa come 15 o 20mila vittime. E forse nemmeno della perdita di petrolio più grave.
Una considerazione, questa, che non vuole affatto sminuire la portata del disastro della marea nera nel Golfo del Messico. Al contrario, vuole richiamare l’attenzione su altre catastrofi ecologiche causate dall’uomo. Catastrofi magari trascurate dai media per il fatto di accadere in paesi del terzo mondo, lontani dai centri di potere e dai focus dei media.
Impossibile fare una classifica senza tenere conto del costo in termini di vite umane. Per questa ragione, molti ritengono la tragedia di Bhopal del dicembre 1984 la peggiore del genere nella storia umana.
Tra i disastri ambientali a cavallo tra il ventesimo ed il ventunesimo secolo, una costante è quella della presenza dell’oro nero. La sete di petrolio è stata la causa prima di un numero elevato di disastri ambientali di conseguenze enormi.
E’ per esempio il caso della perdita di petrolio pressoché ininterrotta in corso dagli anni sessanta nel delta del Niger. Dati di Foreign Policy, seppur approssimativi a causa delle scarse rilevazioni effettuate, parlano di 546 milioni di galloni di petrolio dispersi dall’inizio delle estrazioni, equivalenti a un disastro dell’entità dell’Exxon Valdez, la perdita di petrolio più grave nella storia americana fino al 2010 prima della Deepwater Horizon, ogni anno.
Un disastro senza fine, dove da un lato ladri e sabotatori di petrolio causano perdite continuamente e dall’altro le stesse compagnie petrolifere – per non incorrere in costi troppo alti – lavorano in condizioni di sicurezza inadeguate, perpetuando un circolo vizioso.
Ma è solo la Nigeria purtroppo ad essere stata colpita da una catastrofe petrolifera. Ecco un breve elenco di disastri petroliferi che hanno caratterizzato la nostra storia recente:
Si tratta di un caso di conseguenze da industrializzazione forzata senza precedenti storici. Con un passaggio all’agricoltura intensiva e con opere di irrigazione enormi, senza alcuna considerazione di natura ambientale. Per colmare il gap con le altri grandi potenze – in quella che era la grande sfida, anche militare e spaziale, con gli Stati Uniti e tutto l’Occidente – nel secolo scorso l’Unione Sovietica letteralmente “sottomise” le sue terre e le loro risorse naturali agli obiettivi che si era imposta con i piani di sviluppo quinquennali. Il tutto per oltre 50 anni, tra il primo dopoguerra e gli anni ’80.
Peccato che le vie adottate per raggiungere gli obiettivi che le permettessero di brillare come super-potenza nello scacchiere mondiale fossero in molti casi soluzioni che non valutavano gli effetti collaterali, soprattutto ambientali.
LO SAPEVI? Siberia, il gulag… dei rifiuti tossici
E così grandi appezzamenti di terreni, fiumi e laghi importanti sono stati gravemente danneggiati dall’agricoltura intensiva di tipo collettivista. Il suolo si è eroso e salinizzato, l’aria in molti distretti industriali è irrespirabile.
Senza considerare il problema mai risolto delle acque reflue e dei rifiuti radioattivi.
Risultato? Un ambiente violentato e ridotto a pezzi, quello che si può osservare tra le pianure e i distretti metropolitani di quella che oggi è tornata a chamarsi Russia e nelle ex-repubbliche che un tempo erano sotto il controllo di Mosca.
Eppure, per evitare il disastro, qualche azione a suo tempo le autorità avrebbero potuto intraprenderla. Già intorno al 1930, un gruppo di scienziati lanciò l’allarme sulle metodologie di lavoro impiegate nei campi e nelle fabbriche. Agli stessi anni datano anche attendibili rapporti redatti da professionisti ingaggiati dal regime proprio per analizzare rischi ed effetti negativi sull’ambiente delle politiche di sviluppo economico.
SPECIALE: Il Lago d’Aral, storia di un disastro ambientale… pianificato dall’uomo!
Tutto pressoché inutile, dal momento che politici e scienziati credevano nel principio della “auto-purificazione”, secondo cui l’ambiente e la biosfera sarebbero stati in grado di adattarsi a vari tipi di inquinamento senza subire gravi danni, se si contenevano entro un certo range le concentrazioni massime di inquinanti. Evidentemente il limite è stato superato, e di molto.
Con l’avvento della glasnost nel 1980, nuove organizzazioni non governative hanno iniziato a coinvolgere lo Stato in un dibattito sulle questioni ambientali. Nel 1988 venne poi istituito un Comitato di Stato per la tutela dell’ambiente naturale ma la delicata fase politica che negli anni successivi che portò al crollo dei regimi comunisti mise la questione e gli interventi nel dimenticatoio. Nel 2000, il Comitato venne addirittura sciolto.
CONOSCI QUESTO POSTO? Derweze, la porta dell’inferno: il fuoco che brucia da 40 anni in Turkmenistan
Dieci anni di transizione hanno prodotto miseri risultati. La questione è passata tra le mani del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), che ha stilato un elenco di problemi che necessitano di urgente attenzione.
Quali sono questi problemi? La gestione incontrollata dei rifiuti pericolosi, il trattamento delle acque reflue inaffidabile, il deterioramento della qualità dell’aria negli agglomerati urbani e industriali. Ma non solo. Anche la contaminazione e i danni al suolo da pesticidi e sovrasfruttamento dei terreni sono gli effetti collterali spesso irreversibili che Russia e suoi ex-paesi satelliti stanno scontando.
FOCUS: Lago Karachay, il lago più pericoloso del mondo
All’opera di sensibilizzazione non sono però seguite azioni concrete ed anche le agenzie governative competenti in materia ambientale possono oggi ben poco. I finanziamenti sono insufficienti, la percezione comune è che questi territori enormi siano risorse infinite e intanto la situazione per l’ecosistema, la salute degli abitanti e degli animali continua a peggiorare.
Francamente oggi sembra difficile trovare una luce in fondo al tunnel per salvaguardare il territorio di questi enormi Paesi.
Sta iniziando una nuova epoca caratterizzata da disastri ambientali sempre più grandi e frequenti? Sembrerebbe di sì. Ormai non ci sono più dubbi. Se l’uomo continuerà a maltrattare l’ambiente modificando profondamente i suoi equilibri, i prossimi decenni saranno costellati di disastri ambientali e calamità naturali sempre più ingenti.
E non è tutto: stando alla recente relazione presentata dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale, le perdite globali connesse ai cambiamenti climatici e cataclismi (terremoti, tsunami, alluvioni, ondate di calore) potrebbero triplicare arrivando a fare danni per 185 miliardi di dollari entro il 2100.
Già nel 2011 l’ONU ha calcolato che le perdite economiche causate dai disastri ambientali hanno segnato il record negativo di 286 miliardi di euro, con 302 eventi classificati come ‘catastrofici’ che sono costati la vita ad oltre 29.500 persone in tutto il Mondo. E come se non bastasse, altre 260 milioni di persone hanno subito direttamente gli effetti di tali eventi.
Tra tutti, il terremoto e il conseguente tsunami verificatosi in Giappone nel 2011 rappresentano la perdita più ingente, sia in termini umani (15.703 morti accertati e 4.647 dispersi) che economici (210 miliardi di dollari).
Per la fine di questo secolo, dunque, il quadro non è più incoraggiante anche se gli esperti sottolineano che basterebbe adottare poche e semplici misure preventive per limitare i danni. Il rapporto esorta, in particolare, a rivedere le condizioni di locazione di molte abitazioni in India dove la manutenzione è praticamente inesistente e le case si sgretolano alla prima pioggia violenta.
Incoraggia anche la conservazione di infrastrutture chiave come gli ospedali e scuole. Questi luoghi possono in alcuni casi rappresentare il rifugio più sicuro per gli sfollati. Ma soprattutto pone l’attenzione sulla salvaguardia dei cosiddetti ‘tamponi ambientali’, come le foreste di mangrovie, che possono prevenire l’erosione del terreno e neutralizzare l’effetto di maremoti e inondazioni.
Il futuro dell’umanità è appeso al solito, esile, filo e in effetti si comincia a parlare più di come ‘limitare i danni’ che di come ‘scongiurarli’. Il punto è che di questo passo, un giorno non troppo lontano, la conta delle vittime potrebbe diventare veramente infinita.
Ti potrà interessare anche:
Utilizziamo i cookie insieme ai nostri partner per personalizzare i contenuti e gli annunci pubblicitari, fornire le funzioni dei social media e analizzare il nostro traffico.