Ampie distese di terra arida laddove prima brillavano le acque del lago Poopò, il secondo più grande della Bolivia dopo il Titicaca.
Siamo nel dipartimento di Oruro, una regione mineraria nel sud-est del Paese sudamericano. E stiamo per raccontarvi l’ennesimo disastro ambientale, dove al solito non mancano le responsabilità umane. Il surriscaldamento globale, la siccità legata al fenomeno meteorologico ribattezzato El Nino, le eccessive estrazioni minerarie coi connessi fenomeni di inquinamento, un discusso Piano regolatore degli anni Novanta che ha ostacolato il flusso del fiume Desgaduero verso il Poopò, nonché il dissennato utilizzo delle acque degli affluenti per le esigenze irrigue delle terre coltivate circostanti, sono le cause principali all’origine di questo impressionante prosciugamento, che ci chiama ancora una volta a riflettere su un modello di sviluppo malato, in contraddizione coi principi della sostenibilità.
SPECIALE: Disastri ambientali, i peggiori nella storia dell’uomo
Uno spettacolo desolante è quello che si presenta oggi a chi osserva gli oltre 2.000 kmq di superficie una volta occupati dal lago superficiale di acqua salata, posto a ben 3.700 metri sul livello del mare, nella regione semi-arida delle Ande boliviane. Carcasse di uccelli, rari acquitrini e imbarcazioni da pesca capovolte e abbandonate testimoniano la sciagura ambientale di questo lago in Bolivia, che ha ampie conseguenze anche dal punto di visto economico e sociale.
Con il lago è scomparso un intero ecosistema costituito da numerose specie animali, ittiche e arboree. Private delle risorse necessarie per il loro sostentamento, centinaia o forse migliaia di persone hanno abbandonato i loro villaggi per cercar fortuna altrove, lasciando alle loro spalle un deserto di tristezza.
Oltre la metà della popolazione, composta in prevalenza da pescatori e allevatori, se n’è andata da quelle località lacustri dove sono rimasti solo gli anziani, più che mai increduli di fronte a questo scenario insolito: uno scenario che ricorda tristemente quello già visto in precedenza nell’Asia Centrale con il disastro ecologico del lago d’Aral.
L’evaporazione di questo lago in Bolivia è stata dichiarata ufficialmente nel dicembre 2015. Gli scienziati sono in maggioranza scettici su qualsiasi possibilità di recupero. Il governatore regionale Victor Hugo Vasquez ha calcolato che il Poopò è sceso del 2% rispetto al precedente livello delle acque, che al massimo hanno toccato una profondità di 5 m. Ora 3.250 persone hanno già ricevuto aiuti umanitari, mentre secondo i biologi ben 75 specie di uccelli hanno ormai abbandonato il lago. Non pare davvero esserci un futuro in questo luogo che ben rappresenta gli effetti del cambiamento climatico.
Eppure la criticità della situazione era già stata rilevata dal governo nel 2002, ma da allora tutto è precipitato, in virtù anche delle mancate risposte normative. L’aumento delle temperature legato allo sfruttamento dei combustibili fossili ha accelerato la scomparsa dei ghiacciai andini, facendo venir meno importanti risorse per le acque del Poopò. Ulteriormente impoverite dalla siccità provocata dal Nino, così come dalle diversioni idriche operate sugli affluenti, al fine di sopperire alle sempre maggiori esigenze dell’industria mineraria e dell’agricoltura. Secondo uno studio del consorzio tedesco Gitec-Cobodes, nel 2013 il Poopò ricevette ben 161 miliardi di litri in meno rispetto a quelli richiesti per mantenere il suo equilibrio. Un anno dopo l’Universidad Tecnica rilevò l’alto contenuto di metalli pesanti nelle acque del lago, come testimoniato dalle migliaia di pesci morti.
Gli stessi fattori all’origine della scomparsa del Poopò starebbero inoltre minacciando l’intera area delle alture andine, che nel lungo periodo potrebbe andare incontro a gravi conseguenze.
In questo secolo la capitale boliviana La Paz potrebbe fare i conti con una terribile siccità, mentre a causa del clima, sempre più arido e inospitale, potrebbero diminuire in modo considerevole le risorse di cibo e acqua a disposizione delle oltre tre milioni di persone che vivono nelle alture boliviane.
Uno stesso studio commissionato dal governo ha confermato che i cambiamenti irreversibili degli ecosistemi potrebbero sfociare in conflitti sempre più rilevanti e massicce emigrazioni.
Se le autorità governative paiono confidare in un ritorno delle acque del Poopò e individuano il cambiamento climatico come unica causa del prosciugamento, le compagnie minerarie negano ogni loro responsabilità per l’accaduto, mentre gli ambientalisti e gli attivisti locali puntano il dito contro governanti e imprenditori, accusati di non aver fatto quanto necessario per prevenire il disastro, così come di sottovalutare la minaccia dell’inquinamento provocato dalle attività estrattive.
Gli ingenti profitti legati a questa industria, di fondamentale importanza per l’economia del Paese, avrebbero portato anche in questo caso ad accantonare le opere necessarie a limitare l’impatto ambientale. Coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Intanto, il presidente boliviano Evo Morales ha chiesto all’Unione Europea un finanziamento da 140 milioni di dollari per lo stabilimento volto al trattamento delle acque del bacino del Poopò, al fine anche di dragare gli affluenti guidati dal Desaguadero, che scorrono dal lago Titicaca.
Un ultimo disperato tentativo, ormai tardivo secondo i critici, teso a far ricomparire le acque del Poopò, divorate dall’incuria umana.
Leggi anche:
- Ecco i 10 laghi più belli del mondo
- Alla scoperta del lago Bajkal, un patrimonio naturalistico unico
- Iran: il lago Urmia, uno dei più grandi e sfruttati al mondo, verrà salvato
Ultimo aggiornamento il 17 Giugno 2024 da Rossella Vignoli
Iscrivetevi alla newsletter di Tuttogreen.it per rimanere aggiornati sulle ultime novità.