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In “Usa e getta” Latouche ci racconta le follie dell’obsolescenza programmata

In “Usa e getta“, Serge Latouche ci racconta le follie dell’obsolescenza programmata; il celebre sociologo francese racconta nel suo libro come il nostro  del consumismo sia stato fomentato e accresciuto in modo estremo dagli incredibili ‘trucchi’ delle grandi aziende per vendere sempre di più.

In “Usa e getta” Latouche ci racconta le follie dell’obsolescenza programmata

Tutti i prodotti che acquistiamo, con il passare degli anni, hanno una durata sempre più breve e in molti casi la loro “vita” coincide, stranamente, con gli anni di garanzia, questo perché si verifica una rottura intenzionale di un loro elemento. E’, insomma, insita nella loro struttura, l’autodistruzione. Non mancano, inoltre, le difficoltà nel reperire i componenti nuovi per sostituirli a quelli guasti, e anche quando si riesce a trovarli, il costo della loro riparazione equivale quasi all’acquisto del prodotto stesso.

Serge Latouche, economista, filosofo e professore dell’Università di Parigi, fervente sostenitore della decrescita e accanito avversario del consumismo, affronta il fenomeno dell’usa e getta e dell’obsolescenza programmata prendendo spunto dal documentario “Prêt-à-jeter” di Cosima Dannoritzer e dal libro di Giles Slade “Made to break.

Come lo stesso autore lascia intendere, il saggio non vuole essere una ripetizione dei libri in cui si è già analizzato tale fenomeno (tra i tanti “L’art du gaspillage” di Vance Packard), l’autore lo ripropone sotto l’ottica della decrescita focalizzando l’attenzione sul fatto che con l’obsolescenza si cerca di rimediare alla sovrapproduzione industriale e spiegando come essa sia una delle tante ragioni per condannare la società dei consumi e il sistema produttivistico.

Leggi anche: Serge Latouche: chi è il profeta della decrescita felice

Latouche, partendo dalla distinzione tra obsolescenza tecnica (perdita di valore delle attrezzature dovuta alla comparsa di modelli più efficienti), pianificata (introduzione intenzionale di difetti nei prodotti) e quella simbolica (precoce declassamento dell’oggetto da parte di pubblicità e moda) mette subito in chiaro il nocciolo del problema: “il punto di partenza dell’obsolescenza programmata è la dipendenza del nostro sistema produttivo dalla crescita. La nostra società ha legato il suo destino a un’organizzazione fondata sull’accumulazione illimitata”.

L’autore, dopo aver delineato un inquadramento storico dello sviluppo del consumismo e dell’ usa-e-getta, fa numerosi esempi di oggetti che ormai fanno parte della nostra quotidianità e che sono programmati per deperire: i pc hanno una durata di tre anni, le stanghette degli occhiali due anni, le stampanti funzionano fino a 18mila copie. Sono tutti prodotti di cui non possiamo fare a meno e che in modo compulsivo dobbiamo riacquistare subito. Quante volte compriamo prodotti non per usarli ma tanto per comprarli? O cerchiamo l’ultima innovazione tecnologica degli apparecchi elettronici (senza saper poi sfruttare al massimo le loro potenzialità) solo per stare al passo con i tempi?

E proprio il legame che c’è tra società dei consumi e obsolescenza pianificata non è per niente causale: si pensi al cartello fatto nel 1924 (Cartello Phoebus) dai produttori di lampadine (tra cui la General Electric) in cui si decise di ridurre la durata delle lampadine dalle 2.500 ore a 1.000 ore. Come Latouche ci ricorda, questo non fu l’unico caso in cui ci furono intese tra i potenti industriali: le imprese con brevetti di lame da rasoio a prova di usura hanno smesso di produrle; la Dupont de Nemours inizialmente aveva lanciato una fibra sintetica che rendeva le calze di nylon indistruttibili poi corse ai ripari incaricando gli ingegneri di inserire ‘geni di mortalità’ per rendere più fragile la fibra. L’esempio più attuale, invece, è quello della Apple: la produzione di iPod con una batteria non riparabile e programmata per durare soltanto 18 mesi. Immortalità del prodotto = morte della produzione.

L’autore poi volge l’attenzione anche al ruolo del consumatore odierno. Il consumatore è oramai succube di logiche di mercato che lo portano a consumare e acquistare in continuazione e in un modo sempre più rapido. Anche quando un prodotto è perfettamente funzionante e intatto viene accantonato tra le vecchie cose perché ritenuto fuori moda o non in linea con le novità del momento. Non si acquista più per soddisfare dei bisogni reali, si entra nel circolo vizioso in cui si manifestano nuovi bisogni all’infinito. Siamo diventati “l’industria della consolazione” e noi potremmo essere definiti come i “tossicodipendenti da crescita”.

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E qui entra in ballo l’altra obsolescenza analizzata da Latouche: quella simbolica, affidata alle mani sfrenate del marketing e della comunicazione, quella che ci ha reso dei “turboconsumatori”. La pubblicità crea il desiderio di consumare, il credito ne fornisce i mezzi, l’obsolescenza programmata ne rinnova le necessità.

Latouche, tuttavia, specifica che la pubblicità incrementa gli acquisti, ma è nulla di fronte alla deperibilità dell’oggetto: “con l’obsolescenza programmata, la società della crescita ha in mano un’arma assoluta del consumismo. Si può resistere alle pubblicità, rifiutarsi di contrarre un prestito, ma si è disarmati di fronte al deperimento tecnico dei prodotti“.

La sintesi dello stato attuale è che noi produciamo, consumiamo e inquiniamo. L’obsolescenza programmata attacca l’ecologia in due modi: sprecando le risorse naturali e aumentando la mole di rifiuti prodotti. Montagne di elettrodomestici, pc e cellulari vengono ogni anno scaricate nei Paesi più poveri con discutibili misure di sicurezza riguardo allo smaltimento di cadmio, mercurio, nickel, arsenico e piombo. Ogni anno 500 navi al mese fanno rotta verso la Nigeria e il Ghana.

Leggi anche: Dove vanno i rifiuti elettronici di tutto il mondo?

Bisognerebbe, invece, incoraggiare i prodotti concepiti per essere smontati, riparati, riutilizzati o riciclati e i rifiuti di un’industria dovrebbero essere il nutrimento di un’altra. Ne è un esempio la zona industriale di Kalundborg, in Danimarca, che ha ideato un “ecosistema industriale modello” in cui i sottoprodotti e i rifiuti delle industrie vengono poi riutilizzati dalle altre come materie prime.

La riflessione finale proposta da Latouche è chiara: “Il punto chiave della rivoluzione della decrescita è la decolonizzazione dell’immaginario: liberarsi dall’imperialismo dell’economia sulle nostre menti, e al contempo procedere a un re incantamento del mondo”.

Tra le citazioni da tenere a mente consiglio quella di un pubblicitario, Frédéric Beigbeder “La gente felice non consuma”. Stando a questa affermazione, dovremmo rivedere i nostri criteri di felicità.

Dettagli sul libro.
Titolo: Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata.
Autore: Serge Latouche
Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 114
Data pubblicazione: 2103
ISBN:978-8833924373

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Ultimo aggiornamento il 6 Aprile 2024 da Rossella Vignoli

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