Ambiente

Il rapporto tra l’incenerimento dei rifiuti e la raccolta differenziata

Cosa dice il giurista ambientale sull'inceneritore dei rifiuti rispetto alla differenziata

Questo articolo è il primo di una serie che il nostro giurista ambientale Andrea Quaranta, del blog Natura Giuridica, pubblicherà per TuttoGreen. Se il tema vi interessa o avete altre domande sulle leggi legate alle tematiche ambientali, contattateci o contattate direttamente Andrea all’indirizzo mail: andrea.quaranta@naturagiuridica.com

Il rapporto tra l’incenerimento dei rifiuti e la raccolta differenziata

Perché fare l’incenerimento dei rifiuti e non la raccolta differenziata

L‘incenerimento dei rifiuti è una pratica in antitesi con la raccolta differenziata, anche se è vista come “recupero” quando i rifiuti ne sono il combustibile!  Perché gli inceneritori hanno bisogno di essere continuamente alimentati da rifiuti per poter funzionare.

Guardate il cestino della carta che si trova sotto, o accanto, la vostra scrivania. Sapete benissimo che se riducete a pezzettini la carta prima di buttarla nel cestino passerà più tempo prima che dobbiate vuotarlo (o che qualcuno debba farlo per voi). Peraltro, passerà ancora più tempo tra uno svuotamento e l’altro se utilizzerete fronte e retro di ogni foglio.

Stesso ragionamento vale per il secchio della spazzatura: se, oltre ai rifiuti umidi, lo riempite con resti di imballaggi di plastica, vetri e lattine, dovrete svuotare il secchio almeno una volta al giorno. Al contrario, separando le varie tipologie di rifiuti, ridurrete l’ingombro – e il cattivo odore – nella vostra casa, per non parlare delle passeggiate serali – magari con cane al seguito – con tappa verso i bidoni della spazzatura.

Già, perché con le discariche ormai colme all’inverosimile, per smaltire i rifiuti non resta che bruciarli. Invece differenziare i rifiuti ne riduce il volume e l’ingombro, e soprattutto riduce il bisogno che qualcuno li bruci per smaltirli.

Incenerire i rifiuti è davvero la soluzione ottimale?

In Italia – dopo i primi tentativi di dettare una normativa organica in tema di rifiuti, che si basava sulla regolamentazione del concetto di smaltimento, dato che di recupero si parlava solo in termini generali, senza che fosse fissata una gerarchia vincolante – in seguito all’emanazione del D.Lgs. n. 22/1997 (noto come il “Decreto Ronchi”) lo smaltimento è diventato un’altra cosa e il perno della nuova normativa è diventato la gestione integrata dei rifiuti.

Anche il successivo “Testo Unico Ambientale”, riprendendo questi concetti, ha imposto una nuova scala di priorità.
Innanzitutto occorre prevenire la produzione di rifiuti, o quanto meno ridurla. Seguono la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero di altro tipo e, solo in fine, lo smaltimento. È evidente che, con il tempo, l’interesse del legislatore si è spostato nella direzione di una sempre maggior valorizzazione della prevenzione e del recupero.

In questo contesto, le domande che emergono sono: qual è il ruolo svolto dall’incenerimento dei rifiuti? Si tratta di un’operazione di recupero, che va valorizzata? E se si, con quali modalità?

A causa delle continue emergenze ambientali, anche se la termodistruzione (chiamata da qualcuno termovalorizzazione, cioè incenerimento finalizzato al recupero di energia) è l’ultima opzione del recupero, oggi si torna a parlare di incenerimento dei rifiuti, scavalcando le opzioni prioritarie, prima fra tutte quella della riduzione dei rifiuti alla fonte.

Tutto ciò sembra inevitabile nella situazione italiana: si è preferito favorire la creazione di depositi temporanei di rifiuti e il recupero (in senso lato) che, diversamente dallo smaltimento in discarica, beneficiano di semplificazioni procedurali e di agevolazioni, dal momento che possono iniziare ad operare in assenza di controlli preventivi, con norme tecniche di tutela carenti e con scarse probabilità di essere sottoposte a controlli tecnici in seguito all’attivazione, anche se si tratta di rifiuti pericolosi.

Tutto questo comporta che, di fatto, se non vengono attivati gli strumenti per realizzare la scala di priorità fissata astrattamente dal legislatore, si finisce col privilegiare la termodistruzione, funzionale all’attuale modello di sviluppo e lucrosa di recupero, per produrre, spesso, solo fittiziamente, energia.

L’incenerimento non è un’attività di recupero (di energia dai rifiuti)

O meglio, non è solo un’attività di recupero: dipende da chi viene effettuata, e con quali scopi e modalità.

Così, l’incenerimento di rifiuti costituisce un’operazione di smaltimento ed è sottoposta a regole autorizzative più stringenti di quelle che regolano la stessa operazione effettuata all’interno di un cementificio (che può bruciare i rifiuti garantendo dal punto di vista tecnico lo stesso grado di tutela). Nel cementificio, infatti, l’operazione è vista come recupero di energia e come tale ha pratiche amministrative meno onerose per chi le effettua. Se i rifiuti, con tutte le cautele di rito, non venissero bruciati, si utilizzerebbe un qualsiasi altro combustibile fossile per la produzione del cemento! Chiara la differenza?

È la forma di utilizzazione del rifiuto come combustibile che fa la differenza: il termine utilizzazione implica, infatti, che la finalità essenziale dell’incenerimento è di permettere ai rifiuti di assolvere una funzione utile, cioè la produzione di energia.

La combustione di rifiuti costituisce, pertanto, un’operazione di recupero se i rifiuti svolgono una funzione utile, come produrre energia, sostituendosi all’uso di una fonte primaria che avrebbe dovuto essere altrimenti usata per svolgere tale funzione.

La questione decisiva, quindi, è se i rifiuti vengano utilizzati o riutilizzati per un’autentica finalità.
Nel caso di impiego di rifiuti misti in un cementificio, l’operazione costituisce recupero: in loro assenza, infatti, verrebbe comunque utilizzato del combustibile convenzionale.

Lo scopo di un inceneritore di rifiuti urbani consiste invece nel “trattamento termico ai fini della mineralizzazione degli stessi” e non può avere come obiettivo principale il recupero dei rifiuti, anche se durante l’incenerimento si procede al recupero di tutto o di parte del calore prodotto dalla combustione. Questo costituisce solo un effetto secondario di un’operazione la cui finalità principale è quella dello smaltimento dei rifiuti e non può rimettere in discussione la sua corretta qualificazione come operazione di smaltimento.

In definitiva, occorre fare attenzione a non confondere, in un settore molto delicato, e complesso, come quello della gestione dei rifiuti, concetti che, al di là dell’astratta terminologia giuridica, hanno forti implicazioni pratiche sulla salute dell’uomo e sulla salubrità dell’ambiente.

Non è termovalorizzazione tutto ciò che brucia.

Gestione integreata dell’inceneritore

In un’ottica di gestione integrata dei rifiuti, quindi, prevedere che la parte non recuperabile possa essere bruciata all’interno di cementifici (che quando non ci sono rifiuti comunque possono utilizzare combustibili fossili) ha una sua logica.

Invocare la realizzazione di imponenti inceneritori per lo smaltimento dei rifiuti, invece no, perché avendo un continuo bisogno di ingenti quantità di rifiuti, per poter funzionare, si pongono di fatto in antitesi con la raccolta differenziata.

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Ultimo aggiornamento il 2 Aprile 2024 da Rossella Vignoli

Rossella Vignoli

Fondatrice e responsabile editoriale, è esperta di bioedilizia, design sostenibile e sistemi di efficienza energetica, essendo un architetto e da sempre interessata al tema della sostenibilità. Pratica con passione Hatha yoga, ed ha approfondito vari aspetti dello yoga. Inoltre, è appassionata di medicina dolce e terapie alternative. Dopo la nascita dei figli ha sentito l’esigenza di un sito come tuttogreen.it per dare delle risposte alla domanda “Che mondo stiamo lasciando ai nostri figli?”. Si occupa anche del sito in francese toutvert.fr, e di designandmore.it, un magazine di stile e design internazionale.

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