Moda ‘sporca’, ecco i libri che raccontano cosa c’è dietro la moda cheap
I danni del fast fashion all'ambiente e alle persone
Il mondo della moda da sempre si presenta sotto luci accattivanti, proponendosi come un settore ricercato e degno di invidia per noi comuni mortali. Non tutti hanno però chiaro il costo in termini ambientali che ha quest’industria.

Sommario
Cosa c’è dietro la moda cheap
La corsa ai capi-usa-e-getta devasta l’ambiente ed i numeri dell’iper-produzione parlano chiaro.
Ogni anno il sistema moda immette sul mercato circa 100 miliardi di capi, il doppio rispetto al 2000 (Fonte: Ellen MacArthur Foundation, 2017). Le collezioni cambiano 50-52 volte l’anno e la sovrapproduzione strutturale genera un tasso di invenduto stimato tra il 20% ed il 35%.
Il problema ambientale investe il mega-consumo di acqua, ed il sua inquinamento da parte di pesticidi e tinture. Basti pensare che 1 sola t-shirt di cotone richiede in media 2.700 l d’acqua, la quantità che una persona beve in 2,5 anni (Fonbte: Water Footprint Network).
Non parliamo poi della superficie destinata alla coltura delle piante di cotone ed ai porblemi generati da fertilizzanti e pesticidi per sostenerla, per seguire questo folle ritmo produttivo. Il cotone occupa ben 2,5% di tutti i terreni agricoli mondiali, ma consuma il 16% di tutti gli insetticidi globali.
Le tintorie scaricano 500.000 tonnellate di sostanze chimiche l’anno. Tanto che l’ONU ha definito la moda come la seconda industria più inquinante per le acque dopo l’agroalimentare.Non fanno più notizia, purtroppo, i fiumi colorati di blu indaco o di rosso azoico che si vedono in certe foto del Bangladesh, del Vietnam e delle provincie industriali cinesi. Eppure, sono il simbolo del problema.
Elevate emissioni di CO2
Il fashion system produce tra il 4% e l’8% delle emissioni globali, un valore maggiore di quelle create dagli aerei e dalle navi messe insieme (Fonte: McKinsey, 2020). Quasi metà arriva da produzione di fibre sintetiche (quelle derivate dal petrolio) e dall’elettricità ottenuta da fonti fossili, per lo più carbone, usata nei distretti produttivi asiatici.
Microplastiche
C’è poi il grande problema delle microplastiche disperse nell’ambiente. ll 69% dei tessili oggi è sintetico (principalmente poliestere) e durante ogni ciclo di lavaggio un capo può rilasciare fino a 700 000 microfibre.
Oggi l’oceano ne riceve 500.000 tonnellate l’anno, equivalenti a 50 miliardi di bottiglie di plastica (Fonte: IUCN, 2019). Ormai si trovano microplastiche in pesci, miele e persino neve alpina.
Montagne di rifiuti
La durata media di un indumento fast fashion è di appena 7-8 utilizzi. Ed il risultato è che si generano 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili all’anno.
Di questo, solo l’1% è riciclato per diventare un nuovo filato, mentre il resto finisce in discarica o negli inceneritori, o viene spedito in Africa e America Latina, dove soffoca i mercati locali. Questi Paesi sono senza impianti di smaltimento, e così, finito il suo secondo ciclo di vita, finisce in discariche a cielo aperto, come è il caso emblematico della discarica di Atacama, in Cile.
Suolo, foreste, biodiversità
Viscosa e lyocell sono fibre sintetiche molto cheap che derivano da cellulosa. Ogni anno spariscono 150 milioni di alberi, ed in questi includiamo ettari di foresta pluviale in Indonesia e Brasile, per far posto a piantagioni di eucalipto (Fonte: Canopy Planet).
Gli allevamenti intensivi di pecore e capre per creare capi in lana e cashmere stanno contribuendo alla desertificazione del 90% dei pascoli della Mongolia Interna.
Possibili soluzioni ai danni della moda
La moda cheap ed il fast fashion continuano ad essre un modello economicamente basato sulla sostituzione rapida e a basso prezzo.
Fino a quando questa filiera non pagherà il reale costo ambientale, ogni t-shirt che costa a 4 euro continuerà a costare al pianeta molto più di quanto appare sul cartellino!
Si possono emanare delle legislazion come quella UE dell’Extended Producer Responsibility, che vorrebbe far pagare ai brand il costo del post-consumo. Mentre in California la legge SB-62 introduce il salario orario minimo in confezione.
Anche la strada dell’innovazione per creare nuovi filati riciclando i vecchi inmodo meccanico (Recover™, Remida), oppure metodi di tintura a CO2 supercritica potrebbero ridurre l’impatto della produzione e del confezionamento.
E la creazione di sempre più marketplace di vestiti e scarpe di seconda mano e a noleggio possono conteibuire al ricircolo delle stessi capi.
Non da ultimo, il cambio di scelta del consumatore, potrebbe più che dimezzare gli acquisti, se si cominciasse a preferire l’usato o l’acquisto di capi durevoli. Ed infine, basterebbe lavare a 30° in sacchetti appositi per ridurre la presenza di microfibre del 54% nell’ambiente.
Pensateci!
I libri che parlano di moda poco sostenibile
Oggi vi segnaliamo dei libri che parlano del dietro le quinte del dorato mondo della moda e della mancanza di sostenibilità delle industrie del fast fashion e non solo.
To Dye For: How Toxic Fashion Is Making Us Sick – And How We Can Fight Back, 2023, di Alden Wicker. Indagine giornalistica sulle sostanze chimiche usate in tintoria e finissaggio, con casi di dermatiti e inquinamento delle falde. Propone riforme legislative (EU Textiles Strategy, California’s SB-62) e soluzioni di tracciabilità chimica.
Consumed: The Need for Collective Change – Colonialism, Climate Change & Consumerism, 2021, di Aja Barber. Saggio-manifesto che lega fast-fashion alle radici coloniali delle catene di fornitura. Molto citato per l’analisi su appropriazione culturale, debito climatico e giustizia salariale.
Loved Clothes Last, 2021, di Orsola de Castro. La co-fondatrice Fashion Revolution analizza in questo memoir come riparare, ri-disegnare e far durare i capi. Include retroscena del crollo del Rana Plaza e pressioni sulle multinazionali per la trasparenza.
Fashionopolis: The Price of Fast Fashion and the Future of Clothes, 2019, di Dana Thomas. Viaggio nelle fabbriche di Bangladesh, Los Angeles e Vietnam per mostrare il costo umano e ambientale dei 100 mld di capi/anno. Dedica l’ultima parte a innovazioni (3D-knit, bio-fabrication, cotton in vitro).
The Conscious Closet: la rivoluzione comincia dal tuo armadio, 2020, di Elizabeth L. Cline. Manuale pratico che aggiorna i dati di Overdressed: CO2 di una T-shirt, salari minimi reali dal 1995 al 2018, rating dei brand. Fornisce check-list per acquisto responsabile e capsule wardrobe.
Slave to Fashion, 2017, di Safia Minney. Report fotografico e interviste a lavoratori in India, Cambogia e UK su salari da fame, contratti a cottimo e traffico di minori. Contiene linee guida per auditor e un indice di “modern slavery risk” per i marchi.
Siete pazzi ad indossarlo!
, 2015, di Elizabeth L. Cline. Il libro che ha acceso il dibattito mainstream: spiega l’economia del ‘pile a 5 euro’, la compressione dei tempi di produzione e la montagna di rifiuti tessili esportati in Africa e Sud-America.Slow Fashion. Chi ha fatto i miei vestiti?, 2019, di Safia Minney. Versione estesa della campagna #WhoMadeMyClothes: spiega certificazioni (Fair Wear, GOTS), cooperative femminili in Vietnam, modelli di business circolare.
To Die For. Il lato oscuro della moda, 2012, di Lucy Siegle. La giornalista dell’Observer analizza in modo agghiacciante il consumismo sfrenato dei nostri tempi che ci porta a considerare i vestiti come prodotti usa e getta per stare al passo con la moda stagionale. Analisi pionieristica: dal cotone OGM che prosciuga l’Aral alla pelle conciata con cromo in Bangladesh. Introdusse il concetto di “eco-rendimento” (costo ecologico per uso effettivo di un capo).
Manuale di moda sostenibile. Design, produzione, consumo responsabile, 2019, di Giulia Gnagni. Testo universitario italiano che offre una mappa della filiera nazionale (Prato, Carpi, Riviera del Brenta) e i relativi impatti idrici, propone strumenti LCA e criteri per i bandi di Green Public Procurement.
The Travels of a T-shirt in a Global Economy, 2009, di Pietra Rivoli. Simpatico racconto di viaggio di una t-shirt che attraversa tutto il pianeta. Nel libro si intrecciano spunti di economia, politica e storia, approfondendo tematiche scottanti come quelle del protezionismo e del libero scambio.
Eco-Chic: The Fashion Paradox, 2008, di Sandy Black, professore alla London Collegeof Fashion, presenta una serie di casi di designer, tra cui Katherine Hamnett, Marks and Spencer e Linda Loudermilk, scovando i segreti che si celano dietro alla ricerca dei materiali utilizzati.
Green is the New Black: How to Change the World With Style, 2008, di Tamsin Blanchard. Una simpatica guida che ci insegna come essere fashion e green allo stesso tempo, privilegiando scelte eco-consapevoli.
Altro sulla moda
Leggi anche questi articoli che trattano di temi simili:
Ultimo aggiornamento il 13 Maggio 2025 da Rossella Vignoli
Iscrivetevi alla newsletter di Tuttogreen.it per rimanere aggiornati sulle ultime novità.